L’odio del suprematismo bianco

/ 25.03.2019
di Paola Peduzzi

Non dirò mai il suo nome, ha annunciato la premier neozelandese Jacinda Ardern (nella foto) in Parlamento: ricordatevi i nomi delle vittime, ripetete quelli, sono cinquanta, non il nome dell’attentatore di Christchurch. Tra le altre cose quell’uomo cercava «notorietà», ha detto la Ardern, con quella sua compostezza che fa da lezione ai leader di tutto il mondo: ecco, non gliela daremo.

Il nome impronunciabile è quello del suprematista bianco che venerdì 15 marzo ha bussato a una moschea della città di Christchurch, sull’isola sud della Nuova Zelanda, si è sentito dire: benvenuto da un fedele musulmano sorridente, e ha iniziato a sparare. Due moschee sotto tiro, cinquanta morti, una diretta su Facebook che Facebook e YouTube non sono riusciti a rimuovere, sempre in affanno dietro all’hate speech come sono. Il «giorno più buio» per la Nuova Zelanda e anche per noi, perché l’attentatore, in un documento di 70 pagine, ha precisato che avrebbe potuto colpire l’Europa o l’America, è andato a Christchurch perché gli pareva più semplice e perché quelle due moschee sorgono dove prima c’erano delle chiese. «Ho sangue europeo», ha scritto l’uomo ventottenne australiano, per dare la sveglia a tutti gli europei che, secondo lui, dovrebbero armarsi e combattere contro chi sta organizzando «la grande sostituzione etnica» nel continente europeo, «il genocidio bianco». Devi uccidere un bambino? Fallo, perché quel bambino un giorno sarà grande e farà dei figli, e diventerà un agente della sostituzione.

Prendere per buone le parole di un terrorista è sempre difficile e pericoloso, per di più l’attentatore di Christchurch aveva quasi un tono da troll, si faceva le domande e si rispondeva divertendosi a stuzzicare tutte le contraddizioni del pensiero occidentale: quando poi è arrivato in tribunale, ha fatto il segno di riconoscimento dei suprematisti, ché è fiero di essere un «fascista ambientalista». Ma per quanto si tratti del manifesto di un attentatore, molti concetti – senza ovviamente la parte di violenza – non suonano nuovi in Europa perché sono diventati sempre più mainstream. La stessa cosa era accaduta a Pittsburgh, in Pennsylvania, l’anno scorso, quando un attentatore era entrato in sinagoga e aveva ucciso undici persone. Il terrorista aveva detto che a spingerlo era stato l’arrivo della «carovana», i camminatori del Sud America che volevano arrivare al confine con il nord, ed entrare a tutti i costi. La carovana non era una minaccia, come abbiamo visto, ma l’idea che qualcuno la finanziasse – i liberal, George Soros – era diventata ormai quasi cosa certa, persino il presidente Donald Trump ne era convinto. Il legame con Christchurch è lo stesso: c’è una sostituzione etnica in atto, chi la alimenta deve essere ucciso e chi già c’è in Europa e in America deve essere rimandato a casa, o ucciso pure lui. A Pittsburgh le vittime erano ebree, a Christchurch erano musulmane. 

Questa retorica suprematista è sempre più rilevante. Anne Applebaum, saggista e commentatrice, ha scritto sul «Washington Post» che la minaccia è sottostimata e che tutte le agenzie di intelligence occidentali si sono concentrate sulla minaccia jihadista e hanno perso di vista questa. Non fa paragoni, la Applebaum, perché le minacce sono minacce in ogni caso, ma i dati dicono che in America uccide più il suprematismo bianco dell’islamismo. Bisogna correre ai ripari, dice la studiosa, anche perché il suprematismo è più difficile da individuare: è l’estremismo del vicino di casa, un odio che nasce nei meandri del nostro essere occidentali. Ma in realtà il cortocircuito ideologico è ancora più profondo, alimentato da una polarizzazione estrema del dibattito per cui non c’è più una terra di mezzo in cui incontrarsi, ma soltanto visioni opposte, soluzioni opposte, cannibalismo politico in tutti gli schieramenti.

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha mostrato il video dell’attentato in Nuova Zelanda a un comizio (quel video che faticosamente era stato rimosso, di quell’uomo di cui i neozelandesi non vogliono nemmeno ricordare il nome) e ha denunciato la lotta ai musulmani e l’islamofobia dell’occidente. Chelsea Clinton, ex first daughter d’America, è stata accusata da due ragazze di sinistra di aver contribuito, con la sua islamofobia (aveva condannato, in un tweet, l’utilizzo della retorica antisemita da parte dei politici americani, in particolare della parlamentare del Minnesota, Ilhan Omar), all’attentato in Nuova Zelanda. 

Difficile trovare una soluzione condivisa, in queste condizioni.