Improvvisamente, ma forse non inaspettatamente, sulla Germania è calato lo spettro dell’ingovernabilità. Le elezioni nel Land della Turingia hanno portato a condizioni... weimariane (e Weimar si trova appunto in Turingia): i partiti al governo a Berlino, CDU e SPD, raggiungono insieme solo il 30 per cento dei voti, per la CDU, che dal 33,5 crolla al 21,8 per cento, è la tredicesima sconfitta in tre anni, la SPD non può già più considerarsi un partito di massa con il suo 8,2 per cento (meno 4,2), La Cdu scivola al terzo posto, superata dalla formazione di estrema destra Aktion für Deutschland (AfD) che riesce a raddoppiare il suo risultato, da 10,6 a 23,5 per cento (nonostante o grazie al suo leader locale, il neo-nazista Björn Höcke). Grande vincitrice è Die Linke, il partito post-comunista nato sulle ceneri della SED tedesco-orientale, che diventa il primo partito, con 31 per cento dei voti (più 2,8), una vittoria unanimamente attribuita alla popolarità del suo leader e primo ministro del Land, Bodo Ramelow. Il problema ora è che questo Land non è più in grado di esprimere una coalizione di governo che abbia una maggioranza in parlamento: Die Linke, SPD e Verdi non hanno più i numeri per governare, un’alleanza fra CDU, SPD, Verdi e FDP neppure; siccome la CDU si rifiuta di coalizzarsi con die Linke e nessun partito intende allearsi con l’AfD, di fatto un eventuale governo di minoranza avrebbe le mani legate su gran parte del lavoro politico.
Se consideriamo che queste perdite arrivano nel solco di quelle subite in Sassonia, dove CDU, SPD (anche lì sotto l’8 per cento) ma anche die Linke (che non aveva un Ramelow da vantare) hanno perso massicciamente, si può immaginare quale clima vige a Berlino nelle segreterie di CDU e SPD. L’ennesimo risultato negativo della CDU spinge gli oppositori della presidente Annegret Kramp-Karrenbauer a chiederne le dimissioni, o perlomeno a rinunciare al cancellierato, quando si sarà ritirata Angela Merkel. La temperatura della situazione interna al partito si potrà misurare a fine novembre a Lipsia, al Congresso del partito. Si coglie comunque un’urgenza di ridefinire l’orientamento della CDU (in tema ambientale e di migrazione, in particolare) e quindi di chiedersi se abbia ancora senso portare avanti la Grosse Koalition con la SPD, che tanti voti sta costando da anni a entrambi i partiti. Se lo chiede anche la SPD, che a inizio dicembre deciderà formalmente se andare avanti a governare con Angela Merkel fino alla fine della legislatura, nel 2021.
Ma l’alternativa alla Grosse Koalition quale sarebbe? Come in Turingia, anche a Berlino mancano i numeri per maggioranze diverse. Il fatto che AfD rubi voti a CDU, SPD, die Linke e Verdi, mette in pericolo la stabilità del paese, che, lo ricordiamo, è il motore dell’Unione europea. Nonostante sia chiaro che la AfD abbia una contaminazione neo-nazista, guadagna ovunque voti, ciò che rivela la pericolosità del malessere di strati importanti della società, in particolare in una Germania che solo da qualche decennio era riuscita a scrollarsi di dosso il passato nazista. Una tendenza non solo tedesca, tuttavia: la registriamo anche in Francia, in Italia, in Ungheria.
Il dopo-Merkel si preannuncia difficile. Se poi consideriamo che in Italia Matteo Salvini sta preparando la sua marcia (di ritorno) su Roma, primeggiando alle regionali in Umbria (dove si squagliano i 5 Stelle), che dalle prossime elezioni potrebbe uscire una Spagna ancora poco governabile, mentre in Francia occorrerà vedere che cosa succederà alle presidenziali del 2022, lo scenario che si prospetta per importanti Stati europei e per l’Unione europea è preoccupante.