Lo pseudonimo Grilloparlante

/ 17.06.2019
di Paolo Di Stefano

Lo pseudonimo di Elena Ferrante (5–) appare, negli ultimi tempi, in molti appelli civili e politici (contro la Brexit, contro la Turchia di Erdogan, sulla migrazione e contro Salvini, per l’insegnamento della storia eccetera). Ma a che titolo? Come può un nome falso ritenersi un portatore di diritti civili svincolato dalla responsabilità di dichiarare la propria identità?

La persona che si firma Elena Ferrante ha scelto lo pseudonimo nel lodevolissimo proposito che il lettore legga la sua opera separandola dall’identità anagrafica: dunque ha deciso di cancellare tutto ciò che non riguarda strettamente i suoi libri. E allora perché utilizzare la firma per esprimere una posizione sociale, politica, civile? Ciascuno di noi sottoscrive un’idea, un appello, una rivendicazione pubblica mettendo in gioco la propria reputazione e la propria responsabilità. Mettendoci la faccia, si direbbe un po’ brutalmente.

Se è così – a meno che la firmatrice non sia anche disposta, firmando, a dichiarare i propri connotati – la firma di Elena Ferrante sotto un appello politico-civile non conta nulla. Per quanto ne sappiamo, Ferrante potrebbe essere Salvini o Erdogan in persona. Oppure potrebbe essere, come pare sia, lo scrittore napoletano Domenico Starnone, cui si devono romanzi molto belli, a cominciare da Via Gemito, che ha vinto un premio Strega anni fa. Starnone avrebbe così il privilegio, se volesse, di firmare un appello due volte, con il nome vero e con il nome finto...

E se Elena Ferrante fosse insieme, come sostengono altri, lo stesso Starnone e sua moglie Anita Raja (traduttrice dal tedesco) che lavorano in tandem, sarebbe ancora più lecito nutrire delle perplessità su quell’atto pubblico. Fatto sta che Ferrante non solo non scompare dietro la sua opera, come vorrebbe, ma comparirebbe ben due volte a prescindere dai sui libri. Non lascia ma raddoppia. E se tutti noi potessimo inventarci uno pseudonimo per firmare un appello civile, gli appelli civili non avrebbero più alcun valore, perché potrebbero essere sottoscritti da migliaia di persone inesistenti (ciascuno di noi potrebbe firmarsi Zorro, Mandrake o Elena Ferrante). Si tratterebbe dunque anche di una faccenda che da letteraria diventa giudiziaria.

In rigoroso ossequio alle proprie intenzioni, l’autrice de L’amica geniale ci invita a leggere solo le sue opere considerando Ferrante un «puro nome» privo di spessore umano: «la mia è una piccola scommessa con me stessa, con le mie convinzioni. Io credo che i libri non abbiano alcun bisogno degli autori, una volta che siano stati scritti». Di Shakespeare, dice Ferrante, non sappiamo nulla, idem di Omero, ma nulla ci impedisce di apprezzare i loro capolavori.

Al giornalista che le ha chiesto di spiegare perché rimane nell’ombra, ha risposto: «A chi vuole che interessi la mia piccola storia personale, se possiamo fare a meno di quella di Omero e di Shakespeare?». Giusto. E allora perché mai dovrebbero interessarci le posizioni politiche di Elena Ferrante? Il cosiddetto «mistero Ferrante» è anche in questa ambiguità. Una scelta apparentemente radicale (il desiderio di scomparire dietro un nome e di morire sul piano fisico-anagrafico per rimanere viva sul piano esclusivamente letterario) viene smentita dalla pretesa di prendere parte alla vita civile del proprio paese e del mondo intervenendo con dichiarazioni, interviste (sempre più frequenti) e persino sottoscrivendo dei manifesti con il proprio «nickname».

È chiaro che altri pseudonimi letterari, essendo finti pseudonimi dietro cui si conoscono benissimo le identità anagrafiche, non pongono il problema di legittimazione civile che pone Ferrante. Italo Svevo era l’impiegato Aron Hector Schmitz, nato a Trieste nel 1861 e morto a Motta di Livenza il 13 settembre 1928 in seguito a un incidente stradale. Anche il poeta Franco Fortini in realtà si chiamava Lattes, essendo nato da Dino Lattes, e Fortini era il cognome di sua madre Emma. Lo scrittore Luigi Malerba era Luigi Bonardi nato nel 1927 a Pietramogolana, in provincia di Parma, e morto a Roma nel 2008: rilasciava interviste de visu a casa sua e non solo via mail chiedendo la mediazione dell’editore come esige la complicata scelta «pura e dura» di Elena Ferrante.

E Umberto Saba era in realtà Umberto Poli, ma se entravi nella sua libreria di Trieste lo trovavi dietro il bancone: non c’era alcuna scissione tra la persona fisica e la sua opera. E non risulta che il poeta Saba abbia mai tenuto una rubrica settimanale di varia umanità sul quotidiano inglese «The Guardian», come è capitato per un anno intero a Elena Ferrante, la scrittrice misteriosa o probabilmente lo scrittore misterioso e riservato più grillo-parlante del mondo.