L’Iran torna ad essere l’asse del male

/ 13.02.2017
di Paola Peduzzi

Al dipartimento di Stato americano regna il caos. Il segretario di Stato, Rex Tillerson, è stato confermato dal Congresso, ma i briefing di routine che solitamente si tengono ogni giorno feriale non sono ancora stati fissati, manca lo staff del nuovo ministro e la macchina di Foggy Bottom è temporaneamente inceppata, mentre si continua a parlare di dimissioni (che forse sono licenziamenti) di figure senior con un conseguente impoverimento del capitale umano esperto di politica estera.

Fuori dal mondo della diplomazia – che è straordinariamente sotto pressione in un momento in cui di diplomatico non c’è nulla e il presidente, Donald Trump, si è intestato tutti i dossier – si cerca di capire in che direzione si muoverà questa nuova America. Senza documenti, senza briefing, senza spiegazioni, non è affatto semplice. Dai resoconti sui giornali, che intercettano dichiarazioni e interpretazioni con una certa fatica, si può intendere che Trump vuole creare un’alleanza fattiva con la Russia di Vladimir Putin nella lotta al terrorismo globale e sostituire quest’asse a quello che Mosca ha creato in questi anni con l’Iran degli ayatollah. L’Amministrazione Trump è contraria al deal sul nucleare negoziato dal predecessore Obama e dagli europei con Teheran: lo reputa oltre che impraticabile (come ha scritto John Bolton, che era nella rosa dei papabili per i ministeri sulla sicurezza ma è stato poi scartato, si dice perché a Trump non piacciono i suoi baffi) molto pericoloso, e quindi da annullare. I recenti test missilistici fatti dalla Repubblica islamica sono stati subito oggetto di sanzioni da parte dell’America: «È soltanto l’inizio», ha detto Trump, sottolineando «il disprezzo» che il regime di Teheran nutre per l’America.

L’Europa è recalcitrante sulla politica aggressiva di Washington verso l’Iran, come ha sottolineato l’alto capo della diplomazia europea Federica Mogherini, alla sua prima visita presso l’Amministrazione Trump. Ma il presidente americano non tiene in grande considerazione la voce dell’Unione europea: le rimostranze pro deal sono destinate a cadere nel vuoto. Se si aggiunge che tra le poche questioni su cui il Partito repubblicano va d’accordo con il «suo» presidente c’è proprio la volontà di rivedere l’accordo con l’Iran, è facile immaginare che ci sarà un tentativo comune in questa direzione. In più Trump ha un obiettivo ulteriore: coltivare l’alleanza con la Russia sperando così di spezzare quella tra la Russia e l’Iran. In Siria, ancora prima dell’arrivo di Trump, si erano già sentiti alcuni scricchiolii: nella discussione sull’evacuazione di Aleppo, ci sono stati molti disaccordi tra Mosca e Teheran, e si sono moltiplicate le voci di insofferenza reciproca. 

Quando però gli Stati Uniti hanno annunciato nuove sanzioni all’Iran per i test missilistici, la Russia è stata rapida e perentoria nel definire le misure «inappropriate». L’avventura siriana, costosissima, non è affatto terminata e Vladimir Putin non intravvede ancora un tornaconto preciso nello spezzare l’alleanza con Teheran, anzi: quest’asse non gli ha impedito di coltivare i rapporti con i governi sunniti del Medio Oriente, costruendo una rete di relazioni – di dipendenze, in alcuni casi – che amplia le sfere di influenza di Mosca, per ora in modo più o meno complementare con quello iraniano. Per questo la domanda che tutti si pongono, alla quale non c’è alcuna risposta come accade con un po’ tutto quel che riguarda Trump, è: che cosa l’Amministrazione americana è disposta a dare a Putin in cambio di una revisione dei suoi rapporti con gli ayatollah?

La risposta non c’è ma il nervosismo di Teheran è molto evidente. Il regime iraniano percepisce che tutto sta cambiando, nel momento in cui ancora non è riuscito a iniziare quel che i più pragmatici si auguravano, cioè un riscatto economico. Questo è anche un anno elettorale per la Repubblica islamica e il cambio di passo di Washington avrà un effetto immediato sulla conferma o no del presidente Hassan Rohani, che è molto amato a livello internazionale, ma nella partita interna al regime potrebbe risultare indebolito: al falchissimo Trump molti vorranno contrapporre un falchissimo leader iraniano. 

Intanto la Guida Suprema Ali Khamenei che a ogni preghiera, da sempre, accusa gli Stati Uniti di manovre meschine, ora ha trovato il modo di infierire: l’America ora mostra 

«la sua vera faccia», dice dal pulpito, e dall’altra parte del mondo ci si tormenta, perché la faccia dell’America non è mai stata tanto confusa, e pasticciata.