Era prevedibile che l’anniversario della nascita di Karl Marx suscitasse un «risorto interesse degli storici per le teorie marxiane» e di riflesso anche un quasi automatico rilancio delle critiche al capitalismo. Le mie poche letture non mi permettono di duettare con gli irriducibili estimatori del grande filosofo, economista nonché giornalista e uomo politico di Treviri. Così, se mi contrappongo a chi torna a riproporre il mito di Marx contro i mali del capitalismo e con la malcelata speranza di finalmente rovesciarlo, è principalmente per fedeltà a questo giudizio di Winston Churchill: «Il vizio del capitalismo è l’ineguale condivisione delle ricchezze, quello del socialismo l’eguale condivisione della miseria».
Il mio disaccordo con chi continua a dare la colpa di tutta la povertà che affligge il mondo al capitalismo e, com’è tornato di moda negli ultimi tempi, alle ingenti ricchezze in mano a pochissimi, ha però trovato un inatteso e valido supporto in Hans Rosling (morto di recente). Nel suo ultimo libro Factfullness, di cui è uscita per Rizzoli la traduzione italiana, il medico, accademico e statistico svedese dimostra come possono essere smontati i luoghi comuni sulle disastrose condizioni del mondo. Questa la semplice regola di Rosling: «Non lasciate mai e poi mai un numero da solo; chiedetene sempre almeno un altro con cui confrontarlo». Un esempio eclatante è nel numero degli abitanti del pianeta, raddoppiato da 3,5 a 7 miliardi in quarant’anni, e che nel 2100 arriverà sino a 11 miliardi innescando valanghe di pregiudizi pessimistici. Ma, sostiene Rosling, a quel punto la popolazione si stabilizzerà, perché c’è un «altro numero» da tener presente: il tasso di fertilità delle donne che nel 2017 era sceso a 2,5 figli per donna a livello mondiale e da decenni è in calo in quasi tutti i paesi.
Torniamo a Marx, alla redistribuzione e alla povertà nel mondo alla ricerca di qualche «altro numero» di Rosling. I dati che vengono citati ufficialmente provengono dalla Banca mondiale, dicono che agli inizi del XIX secolo la percentuale di poveri era altissima, l’85 per cento, ed era ancora all’80% nel 1860. Nel 1900 era scesa al 70 per cento e mezzo secolo dopo, nonostante il mondo uscisse da una grave depressione e da due guerre mondiali, «solo» il 55 per cento della popolazione mondiale era colpito dalla povertà più estrema, nel 1995 era del 35 per cento, mentre attualmente siamo al di sotto del 10%, percentuale che nessuno cita. Come ha spiegato il premio Nobel Angus Deaton il forte miglioramento degli ultimi decenni è dovuto all’incidenza dei «passi avanti più rapidi fatti in Cina e in misura minore in India, vale a dire i due paesi più grandi del mondo», tanto più che «anche l’Africa – a lungo il continente più arretrato e con ancora il 42,6 per cento della popolazione in povertà nel 2012 – negli ultimi anni ha assistito a una consistente riduzione della miseria». I dati statistici dicono anche che negli ultimi due secoli la popolazione mondiale è passata da 1 a oltre 7 miliardi; di conseguenza numericamente il maggior numero di persone in miseria lo abbiamo avuto nel 1970 (2 miliardi di persone), mentre oggi sono circa 900 milioni i poveri che ancora soffrono la fame. Lo stesso numero del 1800, cioè dei tempi di Marx. Sempre troppi; ma li si aiuta anche ricordando che sul fronte opposto il mondo può contare oltre 6 miliardi di abitanti che non sono più minacciati da fame e malattie. L’ha fatto l’economista bengalese «banchiere dei poveri» Muhammad Yunus, anch’egli premio Nobel, che il mese scorso a Roma presentando il suo ultimo libro (Un mondo a tre zeri, Feltrinelli), dopo aver smentito di essere anti-capitalista, si è schierato in modo deciso contro il reddito di cittadinanza perché secondo lui serve solo a nascondere la povertà. Per Yunus, concentrazione della ricchezza e povertà estrema vanno combattute a creando opportunità per nuovi imprenditori piuttosto che tassando i super-ricchi: «Tutti gli esseri umani devono avere la possibilità di diventare imprenditori» ha dichiarato il creatore del microcredito. Un autorevole invito a diffidare dei predicatori di utopie rivoluzionarie e a sostenere piuttosto gli aggiustamenti reali di chi lotta contro i pregiudizi pessimisti. Come Hans Rosling, cioè cercando sempre e prestando attenzione anche all’«altro numero».