L’Europa si sta trasformando, prende sempre più la forma della contrapposizione culturale che da qualche anno riguarda tutto l’Occidente. Se ne cominciò a parlare in occasione del voto sulla Brexit in Inghilterra, due anni fa: le élite da una parte, il popolo dall’altra, con gli esperti detestati perché apocalittici e soprattutto perché rappresentanti di un’altra divisione, profondissima, che ha a che fare con l’istruzione, con il vivere in città o nelle periferie, con l’essere più o meno giovani. I tanti saggi che sono stati scritti per spiegare questo scontro spiegano che la frattura si è approfondita nel tempo, che il senso di rivalsa dei «dimenticati» si è fatto più forte nel momento in cui sono state più evidenti le crepe del modello neoliberale, e l’incapacità di molti politici di aggiustarle. Se a questo disagio si aggiungono campagne di informazione serrate, in cui i fatti contano poco ma conta tantissimo la percezione, le linee dello scontro diventano più chiare. La questione immigrazione è un esempio calzante: all’ultimo Consiglio europeo non si è parlato quasi d’altro, si sono fatte le ore piccole per trovare un accordo che accontentasse tutti, obiettivo impossibile, o almeno che non facesse implodere ulteriormente l’Europa, negando Schengen per esempio.
Eppure non siamo affatto nel mezzo di una crisi migratoria: la rotta libica, che è quella più corposa, e che riguarda soprattutto le coste italiane, ha registrato un calo del 77 per cento dal 2017 al 2018, e gli sbarchi in Italia, il paese che più ha preteso che si parlasse di immigrazione al vertice di metà anno a Bruxelles, sono di 18 mila persone dall’inizio dell’anno. In totale in Europa sono sbarcate via mare nel 2018 45 mila persone, quando nel 2015 ne arrivò un milione. Anche i movimenti secondari che preoccupano i paesi del nord – riguardano i richiedenti asilo che si spostano dal primo paese d’approdo in altri Stati membri dell’Ue – sono in netto calo, così come le richieste d’asilo, che sono quasi dimezzate in tutta Europa dal 2016 al 2017 (da un milione e duecentomila a settecentomila). Non c’è emergenza migratoria, eppure non si parla d’altro. Perché? Perché questa è la nuova contrapposizione culturale dell’Occidente, le percezioni valgono più della realtà, e i partiti che intercettano le percezioni e le emozioni – imponendole, spesso – vanno molto forte.
L’Europa si sta adattando a questa trasformazione e per le elezioni europee del maggio del 2019 ci si aspetta una sfida che almeno avrà il merito della chiarezza: sovranisti nazionalisti da una parte, progressisti dall’altra. In questa contrapposizione, le famiglie politiche tradizionali del Parlamento europeo potrebbero non sopravvivere: il Partito socialista europeo non sta comunque molto bene, in molti paesi le sinistre sono state molto ridimensionate. Per il Partito popolare europeo la sfida è più importante, perché si tratta di scegliere che genere di destra si vuole essere in futuro, se si rincorrono i partiti più estremi e nazionalisti sul loro stesso terreno o se, come dice la cancelliera tedesca Angela Merkel, «il centro tiene». Non ci si può rifugiare in qualche dibattito fumoso, perché le scelte hanno nomi e cognomi: che cosa si fa per esempio con il premier ungherese Viktor Orban, che è dentro al Ppe, ma che immagina per l’Europa un futuro molto diverso rispetto a quello dei suoi principali colleghi? Il ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini, ha una proposta: formiamo una superLega dei partiti sovranisti, e con questa presentiamoci alle europee. Lo stesso Orban ha accarezzato l’idea, ma in un discorso che ha tenuto qualche settimana fa ha detto che al momento preferisce combattere la sua battaglia identitaria per l’Europa delle nazioni all’interno del suo gruppo conservatore europeo. Tutto può cambiare, anche perché sono gli stessi membri del Ppe che mostrano sempre maggiore insofferenza nei confronti di Orban e della sua politica illiberale, ma intanto i movimenti maggiori si registrano sull’altro fronte, quello progressista.
La Francia di Emmanuel Macron vuole esportare il modello En Marche in Europa creando un nuovo gruppo parlamentare che metta insieme le forze moderate ed europeiste, attirando a sé anche partiti che oggi stanno nei gruppi politici tradizionali. Il regista di questo progetto è Christophe Castaner, macroniano di ferro, che ha già fatto un accordo con Ciudadanos in Spagna e ora sta cercando altre sponde in altri paesi. L’obiettivo finale è arrivare alle europee con una formazione in grado di contrastare la superLega o quel che i nazionalisti riusciranno a costruire: poi ci si conterà.