Letterine e sindrome della Lapponia

/ 19.12.2016
di Ovidio Biffi

Si fa di tutto per evitarlo, si protesta perché è sempre «troppo presto» quando ci viene riproposto o anche solo accennato. Poi l’autunno se ne va, inizia l’Avvento e si finisce sempre per accettare l’invadente e perpetua forza del Natale che sta arrivando. L’hanno definita sindrome della Lapponia, malattia che, nei casi limite, spinge a cantare, già da metà dicembre, Jingle Bells al mattino e a iniziare a memorizzare i regali. Il primo sintomo rimane comunque quello di pensare a un albero che si rispetti, magari con il presepe accanto o sotto, addobbi, luci ecc. ecc.

Sul Natale, anche senza riaccendere i propri ricordi d’infanzia, esistono fiumi di aneddoti o fatti, molti dei quali sono noti e vivi in tutto il mondo. Come la lettera che la bambina Virginia scrisse al direttore del «New York Sun», elemento prezioso dei ricordi natalizi alla pari delle note di Stille Nacht, o della sterminata serie di melodie dei crooners americani, da Crosby a Sinatra sino ai canti gospel o alle pive delle zampogne. La storia di Virginia la conoscono quasi tutti, anche perché risale alla fine del XIX. secolo, quando il dottor Philip O’Hanlon di Manhattan si sentì domandare dalla sua bambina di otto anni Virginia se Babbo Natale esistesse davvero. E qui si incontra uno dei motori principali che alimentano il clima natalizio: il momento in cui genitori e parenti si interrogano o vengono interpellati dai loro figli o nipoti sul credere ancora a Gesù Bambino o al più laico Babbo Natale.

Virginia aveva cominciato a dubitarne per quello che le avevano detto i suoi coetanei e per questo il padre le suggeriva di chiederlo al direttore del loro quotidiano, assicurandole che «se lo dice il “Sun”, allora è vero». Quell’invito offrì a Francis Pharcellus Church, direttore del giornale, l’opportunità di andare oltre la semplice domanda e di affrontare anche questioni più ampie, valide ancora oggi, tanto che il suo leggendario editoriale anche cent’anni dopo viene riproposto sulle riviste o nelle pubblicità natalizie anglosassoni. Non posso riprodurre la magistrale risposta del direttore Church, ma un brano lo recupero: «Non credere in Babbo Natale! È come non credere alle fate! Puoi anche fare chiedere a tuo padre che mandi delle persone a tenere d’occhio tutti i comignoli del mondo per vederlo, ma se anche nessuno lo vedesse venire giù, che cosa avrebbero provato? Nessuno vede Babbo Natale, ma non significa che non esista. Le cose più vere del mondo sono proprio quelle che né i bimbi né i grandi riescono a vedere».

Rievoco Virginia e la sua richiesta per arrivare a quella, meno datata, rivolta lo scorso anno ad Annalena Benini, scrittrice e giornalista de «Il Foglio», dalla figlia arrivata a casa con un devastante «Ho scoperto che Babbo Natale non esiste, me lo ha detto la maestra (…) Mamma, tu lo sapevi?». La collega italiana, riferita la sua risposta («Beh, un po’ lo sospettavo, ma speravo che esistesse, dicono che esiste finché ci si crede, dopo scompare»), proseguiva così il suo racconto: «A quel punto, la vergogna per lo sbugiardamento, perfino l’arrabbiatura con la maestra che aveva rivelato l’indicibile al posto nostro, hanno lasciato spazio a un sollievo, a una liberazione. È fatta, ma a nostra insaputa, è fatta, noi siamo bugiardi ma innocenti. Non è colpa nostra se Babbo Natale non esiste, anzi io non volevo rassegnarmi, volevo crederci, lei adesso lo sa».

Anche le parole della Benini, oltre ad avvicinarci al clima natalizio, sono una conferma che le atmosfere del Natale e della sindrome della Lapponia resistono ancora e che forse non scompariranno mai. Lo provano, per concludere, anche le letterine di bambini raccolte nel libro Caro Gesù, la giraffa la volevi proprio così o è stato un incidente? pubblicato da Sonzogno una decina di anni fa.

A quella del titolo ne affianco alcune altre: Caro Gesù Bambino, i miei compagni di scuola scrivono tutti a Babbo Natale, ma io non mi fido di quello. Preferisco te (Sara) – Caro Gesù, sei davvero invisibile o è solo un trucco? (Giovanni) – Caro Gesù Bambino, grazie per il fratellino. Ma io veramente avevo pregato per un cane (Gianluca) – Caro Gesù, mi piace tanto il padrenostro. Ti è venuta subito o l’hai dovuta fare tante volte? Io quello che scrivo lo devo rifare un sacco di volte (Andrea) – Caro Gesù, invece di far morire le persone e di farne di nuove, perché non tieni quelle che hai già? (Marcello) – Caro Gesù Bambino, per piacere mandami un cucciolo. Non ho mai chiesto niente prima, puoi controllare (Bruno). E voi, che leggete, la vostra letterina l’avete già scritta?