Più di cento: questo il numero dei libri sulla felicità pubblicati in italiano nel 2017, quindi in tre mesi. Da come trovare la felicità nello yoga alla felicità di golose ricette, da come risorgere dopo una storia finita a esercizi di magia per vivere felici. Manuali in cui la promessa è la più alta e il mezzo per raggiungerla è rappresentato da alcuni gesti non lontani dalla vita quotidiana. Un segno della corruzione della nostra società: il capitalismo spinto agli estremi ha insegnato alle masse, con molta convinzione, che tutto si può comprare e che in base alla disponibilità economica la merce sarà «su misura».
In sé un traffico innocente, mettiamo il caso delle bambine. Tutte vorrebbero essere una principessa, ma non tutte hanno la «fortuna» di Kate, o delle belle Casiraghi. Quindi innanzitutto si semplifica ed eleva il modello, le bambine non vogliono essere come le Borromeo, ma desiderano diventare Bella, Elsa, Anna, Pocahontas. Preferiranno vestitini leggeri, gialli come Bella o azzurri come Elsa, avranno i quaderni con le immagini delle ragazze dei loro sogni, basterà poi un cerchietto di plastica con i lustrini per farle sentire incoronate e principesse. Poi su per la scala economica: chi può acquisterà per la piccola un vero vestito da Bella, veri gioiellini con Swarovski colorati, prometterà balli delle debuttanti, investirà un migliaio di euro o franchi in riproduzioni in cristallo delle principesse.
Così accade anche per la felicità. Montale, senza tante smancerie, le aveva dedicato una poesia tremenda, pubblicata in Ossi di seppia nel 1948, in cui si rivolge alla «felicità raggiunta», quindi non sognata o discussa, e le dice «si cammina per te sul fil di lama». Sei talmente difficile da trattenere che «agli occhi sei barlume che vacilla, / al piede, teso ghiaccio che s’incrina; / e dunque non ti tocchi chi più t’ama». Quando arrivi alle anime «invase di tristezza», sei come la luce del mattino, che rischiara il buio ma se ne va presto. Sei dolce e porti turbamento come i nidi sotto i cornicioni. Cara felicità, puoi rischiararci e sorprenderci, però purtroppo non saprai mai ripagare il dolore della perdita: «ma nulla paga il pianto del bambino a cui fugge il pallone tra le case», perché il dolore del bambino è assoluto, il palloncino era la pienezza della sua felicità, perderlo significa rimanere nudo e solo. Il bambino non ha passato, non sa che esistono altre felicità, altri palloncini, e che tra tutte le disgrazie perdere un gioco non è tra le più gravi.
Ora noi pretendiamo di raggiungere stabilmente ciò che ha la resistenza di un piede che s’appoggia al ghiaccio che si incrina, di un flebile barlume, e lo vorremmo anche fare in sette step, o in mezz’ora, o grazie ad azioni come mettere in ordine un armadio, non mangiare carne, salutare il sole al mattino. Oppure ci affidiamo a culture diverse, magari esiste una via danese o norvegese alla felicità, magari i giapponesi sono esperti di come si fa, nonostante pochi popoli siano tristi come gli abitanti delle isole nipponiche, stipati nei treni, costretti a lavorare fino allo stremo, pronti al suicidio per disonore. Tra l’altro per le donne è considerato un atto di maleducazione lasciar vedere i denti, come potranno essere felici senza poter fare una bella risata liberatoria ogni tanto? Insomma, questa «felicità raggiunta» è davvero misteriosa.
Gli antichi, per mettersi al sicuro, la ritenevano un’attività della mente, la più alta, ossia la contemplazione del primo principio o l’identificazione con il logos e i suoi ordini. Aristotele, Platone, Plotino invitavano a una vita più o meno ascetica in vista dell’unica attività garante della vera felicità. Stoici, Cinici ed Epicurei consigliavano di non farsi prendere da alcun desiderio, di astenersi da tutto ciò che non fosse assolutamente necessario, per poi essere un inerte trastullo dell’intelligenza del mondo o degli eventi che si susseguono, non necessariamente secondo un ordine razionale. Nel complesso ne viene un’idea di felicità umana senza la vita dell’uomo, vuoi perché concessa solo a chi ha intelligenza, educazione filosofica (quindi denari e lo stato di uomo libero senza necessità di lavorare), doti in grado di portarlo al livello della contemplazione; vuoi perché vissuta da umani snaturati, privati del desiderio e di un contatto con il mondo, che di per sé porterebbe a volere qualcosa o qualcuno, e a rischiare dunque delusione ed entusiasmo, pessime emozioni da eliminare.
Meglio allora leggere «Fatti un progetto di vita e sarai felice», «La felicità in quattro mosse», «La dieta del dr. Tale per una vita felice», per parafrasare qualche titolo? Secondo me, meglio arrendersi, ascoltare il cuore e (non o, e) quello che accade intorno, senza escludere né mente né emozioni. Far silenzio, così da non farci trovare distratti al suo passaggio, lieve come un mattino che rischiara «le anime invase di tristezza».