In Italia è stata l’estate di Matteo Salvini. Salvini al Palio di Siena, città per settant’anni amministrata dalla sinistra e ora conquistata dalla Lega. Salvini a Viterbo per la Macchina di Santa Rosa, la gigantesca ed effimera torre attorno a cui viene organizzata una grande festa popolare, che ha accolto il ministro dell’Interno come un trionfatore. Salvini al festival del cinema di Venezia con la compagna e star televisiva Elisa Isoardi. Ovunque tripudio, selfie, applausi; persino al funerale delle vittime del ponte di Genova. Paradossalmente, più sono negative le situazioni, più cresce il consenso attorno al leader della Lega. Il mondo si scandalizza per il sequestro dei profughi eritrei a bordo della nave Diciotti? Salvini supera il 30 per cento nei sondaggi. I giudici bloccano i fondi della Lega dopo la megatruffa ordita - secondo la sentenza di primo grado - da Bossi e dal suo tesoriere? L'opinione pubblica è comprensiva (verso la Lega s'intende). Il cattivismo, all'evidenza, paga.
Poi ci sono le contestazioni. La manifestazione di Milano contro il vertice Salvini-Orban. Il confronto a Rocca di Papa tra Casa Pound e il comitato di accoglienza ai migranti. In entrambe le occasioni qualche tg ha usato l’espressione «manifestanti antifascisti». Mi pare una semplificazione non opportuna. Come se chi non era in piazza a Milano o a Rocca di Papa non fosse antifascista. Per quanto mi riguarda, sono antifascista da quando, bambino, ascoltavo i miei nonni – non due radical chic: un macellaio e un contadino – raccontare quale orrore di violenza e sopraffazione sia stato il fascismo; ma non per questo penso di scontrarmi a Rocca di Papa con Casa Pound. Il punto è che l’antifascismo e l’anticomunismo sono come l’aria e l’acqua.
Due cose necessarie e sempre valide, che dovrebbero essere scontate, di cui si sente la mancanza quando latitano. L’antifascismo non è una «cosa di sinistra» e l’anticomunismo non è una «cosa di destra»: sono, o dovrebbero essere, due valori condivisi da tutti. Contestare Salvini è lecito; trattarlo da fascista è sbagliato e fuorviante. È vero che Salvini talora strizza l’occhio al neofascismo italiano, che esiste, per quanto marginale. Sono atteggiamenti da capetto di un partitino del 3 per cento, non da un leader che ha l’ambizione di rappresentare non solo la destra dura ma anche i moderati, i cattolici, i conservatori. Anche da queste cose si misurerà la capacità di Salvini di diventare il nuovo capo del centrodestra.
È utile rileggere un libro straordinario, L’Italia in camicia nera. Indro Montanelli e Mario Cervi raccontano quasi giorno per giorno l’ascesa al potere di Benito Mussolini. Tutto è completamente diverso: il contesto storico, le personalità in campo, le caratteristiche del Paese. Certo, qualche punto in comune si può trovare: la violenza con cui si liquidano gli avversari politici e in genere chi non la pensa allo stesso modo; cent’anni fa era una violenza fisica, oggi è una violenza verbale. Ma leggere il presente con le categorie ideologiche del passato non aiuta a capire. Invece l’analisi dei ricorsi storici è una sorta di tic nazionale.
Il fascismo viene tirato in causa spesso a sproposito. Lo si è fatto anche venticinque anni fa, quando apparve sulla scena Berlusconi, e quando l’Italia non era governata dalla rete, ma dalla televisione. Si è cantato Bella Ciao in situazioni che non c’entravano niente. Si è evocata la Resistenza in battaglie come quella contro l’alta velocità che nulla avevano a che fare con il No detto da tante italiane e tanti italiani ai nazifascisti. In questo modo si sono costruite reputazioni e carriere, ma si sono logorati parole e valori – ad esempio l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, senza distinzioni di sesso, etnia, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali - che dovrebbero appartenere a ogni partito, a ogni coscienza.