Greta Thunberg. Il suo nome non lascia indifferenti. Scatena emozioni forti. Negli uni speranza e rabbia per l’immobilismo di taluni potenti, politici e lobby, negli altri astio verso questa ragazzina che da un anno domina il discorso sul clima. Oggi ha sedici anni (!), è un’icona mondiale (o almeno in tutto l’Occidente), è diventata una superficie di proiezione di aspettative quasi messianiche ma anche di odii viscerali. Come fa a reggere questo peso, alla sua età?
Ne scrive Alfredo Venturi a pagina 33, ma l’interrogativo voglio porlo anche qui: che cosa ha fatto di male questa ragazzina per meritarsi l’astio dei negazionisti dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo? Sta mobilitando la sua generazione ad occuparsi del proprio futuro, quindi di politica, ad impegnarsi per il bene della società, e se questo nei suoi coetanei si trasforma in un atteggiamento diverso verso la natura, verso i dogmi di una crescita economica ad ogni prezzo, avremo in mano un biglietto per un futuro che non sarà peggiore di questo. Non si lamentava fino a ieri l’indifferenza dei giovani verso la politica, verso la società in genere, il loro individualismo sempre più spinto? Ma Greta Thunberg è anche uno specchio, in cui la generazione adulta vede riflessa la propria coscienza, offuscata dai fumi del benessere materiale sopra a tutto. Ed è forse per questo che una parte della popolazione la rifiuta, ossia quella più conservatrice, anche se paradossalmente questa intende conservare uno stile di vita, un tipo di economia che si regge su energie fossili, il cui effetto è ben poco conservativo (dell’ambiente).
Certo, possiamo trovare ingenuità, anche incongruenze, richiami apocalittici, che possono spingere frange ambientaliste su vie radicali. Ma negare che arrivino maggiori catastrofi naturali significa non avere compreso che quel processo è già in atto. Per chi resta vittima, vivo o morto che ne esca, di uragani o altri eventi maggiori oggi più frequenti e intensi di un tempo, la catastrofe non è un’ipotesi: è già arrivata. E questo, in Occidente lo hanno capito anche molti politici e molti governi. Non è un caso quindi che Greta venga accolta dal Papa, da Angela Merkel e Barack Obama, che venga invitata a parlare al Forum economico di Davos, persino davanti all’Assemblea generale dell’ONU (dov’eravamo noi a 16 anni?). E gli appelli a mobilitarsi, a manifestare raccolgono milioni di persone nel mondo (in Svizzera non si erano mai viste 60mila persone sulla Piazza federale a Berna). Benché oggi su posizioni ancora separate dalla distanza che c’è fra la visione e l’azione, Greta Thunberg e un’importante parte del mondo politico, economico e della società condividono l’obiettivo di fondo: l’impegno contro i cambiamenti climatici. Secondo Greta e i suoi seguaci non si fa abbastanza, e in effetti finora si è fatto poco dal lato pratico, ma l’impressione è che ora si cominci a fare sul serio, pur nelle difficoltà di smuovere politica, economia e società a trasformarsi in senso più ecologico. Una Greta Thunberg che sprona, che non demorde, che mobilita, che trova in altre parti del mondo degli emuli, fa sì che la tensione non cali, che il discorso sul clima venga interiorizzato.
Prendiamo la Germania: il governo Merkel ha confezionato un pacchetto di misure per 54 miliardi di euro. Se sarà efficace, se sarà abbastanza, lo si vedrà presto, ma un simile impegno apre le porte a successive misure. Oppure sarebbe meglio non provarci nemmeno? Ma che il cambiamento sia in atto possiamo vederlo anche in casa nostra: se lo scorso dicembre il Consiglio nazionale aveva affossato la legge sul CO2 in un’alleanza contro-natura fra destra e sinistra (per gli uni troppo audace, per gli altri troppo debole), il 25 settembre il Consiglio degli Stati ne ha adottata una che solo qualche anno fa sarebbe stata impensabile (37 sì, 1 no, 3 astenuti). Prevede di dimezzare le emissioni di CO2 entro il 2030 del 50 per cento rispetto al 1990, di cui il 60 per cento con misure in Svizzera, tramite severe limitazioni tecniche agli impianti di riscaldamento, una tassa sui biglietti aerei (fra i 30 e i 120 franchi), un aumento del prezzo di benzina e diesel (fra i 10 e i 12 centesimi al litro), e gasolio (fra i 90 e i 210 franchi alla tonnellata), per alimentare un fondo per il clima. La legge passa al Nazionale, e questa volta a discuterla sarà una Camera del Popolo probabilmente più «verde» (trasversalmente) dopo le elezioni federali del 20 ottobre. Non solo perché probabilmente Verdi e Verdi liberali accresceranno il loro numero di seggi al Nazionale, mentre l’UDC (la formazione meno sensibile alla lotta contro i cambiamenti climatici) ne perderà qualcuno, secondo i sondaggi, ma perché la sensibilità ambientale è molto cresciuta anche negli altri partiti, come dimostra la svolta impressa al PLR dalla presidente Petra Gössi e confermata dalla base del partito.
Che piaccia o meno, l’effetto Greta si sente anche da noi.