Il governo italiano sta cadendo a pezzi. L’alleanza di comodo tra leghisti e Cinque Stelle è sul punto di cedere. Qualcuno dice che tra le due forze che compongono la maggioranza sia in corso una schermaglia. Personalmente credo invece che i contrasti tra Lega e Cinque Stelle siano reali. Hanno elettorati diversi, e politiche economiche incompatibili. Non ci sono i soldi né per il reddito di cittadinanza né per la flat tax, figuriamoci per tutte e due le cose. Eppure alle Europee le due forze di governo supereranno abbondantemente il 50 per cento.La cosa potrebbe apparire incredibile, vista la modestissima prova di molti ministri, e la situazione economica del Paese: la peggiore d’Europa.
Però sia Salvini sia – in minor misura – Di Maio sono abili a non presentare la maggioranza di governo come un’alleanza, ma come una coabitazione tra diversi, uniti dall’avversione verso l’establishment europeo e nazionale, accomunati dal rigetto di «quelli di prima». Il governo resta popolare perché è ancora percepito dalla maggioranza degli italiani come l’espressione di «Noi» contro «Loro»: l’Europa, le banche, i globalisti, i migranti… Al ritmo di un nemico al giorno, leghisti e grillini si confermano abilissimi propagandisti. Certo, la realtà è un’altra cosa. Prima o poi le difficoltà dell’economia presenteranno il conto. La politica del governo è fallimentare su quasi tutti i fronti, a parte la stretta sugli sbarchi cominciata in parte già con Minniti (ma che ora rischia di essere vanificata dal precipitare della crisi libica).
Al momento né Forza Italia, né il partito democratico appaiono all’opinione pubblica come alternative credibili. La loro traversata del deserto sarà ancora lunga.Di Maio ha scelto di rispondere a Salvini con le sue stesse armi: colpo su colpo. Questo spiega i toni improvvisamente alti che caratterizzano la dialettica all’interno della maggioranza. I Cinque Stelle insistono: il sottosegretario Siri, indagato per oscuri rapporti con personaggi in odore di mafia, deve dimettersi. La Lega risponde che a dimettersi dovrebbe essere semmai la sindaca di Roma, pluri-intercettata e pluri-indagata. Probabilmente il governo non cadrà però su questioni personali, ma su questioni economiche. Nessun partito vuole intestarsi la prossima legge di bilancio, destinata a divenire rapidamente impopolare.Per il momento però si litiga sui simboli più che sulla sostanza. Salvini ha rifiutato di celebrare la Liberazione dai nazifascisti.
Certo, ha condannato la provocazione degli ultras della Lazio, che a Milano hanno srotolato uno striscione che inneggiava a Benito Mussolini; ma è chiaro che quegli ultras si sono sentiti incoraggiati da un leader politico che rifiuta di festeggiare il 25 aprile. All’evidenza, il leader della Lega considera quella data come una «cosa di sinistra», anche se molti resistenti erano monarchici, cattolici, liberali o semplicemente persone senza partito che dissero no al nazifascismo nei molti modi in cui fu possibile dirlo. Ai Cinque Stelle del 25 aprile non importa molto più di nulla; ma ogni occasione è buona per segnare il territorio e tenere testa al leader emergente, accreditato nei sondaggi di un mostruoso 37 per cento.Forse, se alle Europee il partito democratico resterà inchiodato al 18 per cento delle Politiche, il suo leader Nicola Zingaretti sarà costretto a cercare alleati.
E l’unico alleato possibile per la sinistra sono i Cinque Stelle, soprattutto se la competizione con la Lega si farà sempre più serrata. A quel punto Renzi, contrarissimo al dialogo con il movimento fondato da Beppe Grillo, avrà il pretesto per andarsene e formare un nuovo partito, che guardi al centro anche in vista dell’inevitabile declino di Berlusconi.L’impressione è che l’estrema destra leghista e il populismo grillino non abbiano ancora molta strada da fare insieme. Il prezzo che il Paese pagherebbe sarebbe troppo alto. Anche se gli italiani non sembrano rendersene conto.