L’egemonia del cretino

/ 26.11.2018
di Paolo Di Stefano

Uno dei primi a usare il neologismo «cretino» fu il poeta Giosuè Carducci. Si trattava in origine di un aggettivo di area scientifica, riferito alla persona affetta da cretinismo, vera e propria malattia endemica, diffusa soprattutto nelle aree montuose. Poi si estese genericamente allo sciocco, allo stupido, all’imbecille. Da allora, fine Ottocento, ne è passata di acqua (e di cretini) sotto i ponti, finché la coppia Fruttero & Lucentini ha fatto del cretino contemporaneo (o «post-fesso») il protagonista di una serie di interventi giornalistici e di libri memorabili. Carlo Fruttero e Franco Lucentini hanno firmato insieme un gran numero di romanzi, soprattutto gialli (veri capolavori La donna della domenica e A che punto è la notte), ma hanno anche scritto, con totale libertà di irrisione e di sarcasmo, diversi «manuali di difesa e offesa» contro la cretineria diffusa. Ora, dopo una famosa trilogia sull’argomento (La prevalenza del cretino, Il ritorno del cretino, Il cretino in sintesi), esce un’antologia postuma curata dalla figlia di Fruttero, Carlotta, per gli Oscar Mondadori. Titolo: Il cretino è per sempre (6 e lode).

Naturalmente si tratta del cretino-tipo osservato dentro la società italiana, ma ciò non toglie che l’identikit tratteggiato dalla premiata Ditta F&L possa comprendere e interessare il cretino globalmente inteso, tant’è vero che la trilogia è stata tradotta in varie lingue con eguale successo. Il cretino transnazionale è, come dice Michele Serra nell’introduzione, una figura divenuta egemone i cui princìpi hanno finito per informare la società di massa. Per esempio, F&L mettono alla berlina la cretineria pseudoculturale che impone alle folle di turisti, visitatori, lettori di correre compatti verso gli stessi luoghi di culto, le stesse mostre di culto, gli stessi libri di culto. Una sorta di «allucinazione collettiva», di cieca coazione a ripetere: «trattati come numeri dalle loro agenzie, uniformati da berrettini di tela o paglia, da funeste trasparenze di canottiere o reggiseni, gli occhiali neri sulla fronte, la camera a tracolla, il souvenir di serie stretto in pugno, è impossibile per chi li vede sfilare considerarli individui». Si tratta di pezzi scritti negli anni Ottanta, ma per un aggiornamento efficace basta pochissimo: sostituire il telefonino alla camera a tracolla o aggiungere piercing e tatuaggi qua e là. Si ironizza sulla persistente fissazione per quelle che un tempo si chiamavano «vacanze intelligenti», una formula che nascondeva una discreta dose di moralismo: «Si proponeva un’alternativa a vacanze crassamente strascicate da un’enorme mangiata a un’enorme dormita, vissute in ebete torpore, senza toccare un libro, sfiorando appena il giornale, senza impegnare la mente altro che nella scelta tra ventiquattro gusti di gelati». Anche in questo caso viene facilissimo l’aggiornamento: togliendo il giornale (ormai neanche sfiorato) e aggiungendo un sito internet o un videogioco a caso (che diventa «videogiogo» per i bambini, prigionieri incustoditi del cellulare persino a colazione, a pranzo e a cena). Profetici, Fruttero & Lucentini, nel farsi beffe dell’orgia spiritual-culturale che vedevano materializzarsi sotto i loro occhi e che sarebbe grottescamente esplosa negli anni successivi (i nostri): «Guardiamoci intorno: ogni piazzetta di ogni paesetto allinea centonovanta sedie per il balletto di stasera, ogni rudere di ogni abbazia ospita un festival di prosa, ogni torrione in cima a ogni collina contiene una mostra del chiodo rinascimentale, in ogni palazzo di ogni comune siede la giuria di un premio letterario, da ogni andito, loggia, cappella, sottoportico, molo, bastione si diffondono trilli di quartetti d’archi, arie barocche, cavatine, arpeggi, cori gregoriani». Si possono aggiungere, con l’occhio di oggi, le presentazioni di libri, i festival del giallo, del nero, del rosa, del blu notte e del blu ultramarino… «Impossibile restare sordi a questi ubiqui richiami…», scriveva la premiata ditta F&L. «Se poi questi nuovi bisogni siano o no un progresso, se vengano soddisfatti nel miglior modo o se abbiano soltanto dato luogo a una tristissima crapula culturale, ce lo diranno i decenni futuri». Ce l’hanno già detto, perché il futuro è qui presente. Dunque? Dunque il cretino non molla. Anzi, si riproduce in forme nuove e reclama sempre più spazio, assume la postura tra l’ebete e soprattutto l’arrogante del supercilioso intenditore d’arte, di letteratura, di musica, di giornalismo, di politica, di economia, di biotecnologia, di medicina, di epidemiologia… Meno sa e più si spaccia per esperto. Oggi, dall’alto al basso, dalla destra alla sinistra, da nord a sud, da est a ovest, l’ideal-tipo del cretino, che forse nemmeno Fruttero & Lucentini avrebbero mai immaginato tanto egemone e diffuso, è l’incompetente arrogante che sale in cattedra per accusare di cretineria i pochi che non sono incompetenti (e arroganti e dunque cretini) come lui.