Gentile Signora Vegetti Finzi,
sono un padre di tre figli, sposati con ciascuno due figli, con i quali non abbiamo mai avuto problemi neanche durante la loro adolescenza. Nostra figlia è sempre stata la più attaccata alla famiglia e, da quando si è sposata, abbiamo sempre avuto frequenti contatti (telefonate giornaliere, vacanze assieme e visite reciproche) anche con suo marito ed i nostri due nipotini. Due anni or sono, senza alcun motivo apparente, i rapporti si sono interrotti e non ci sentiamo e vediamo più, tutto si riduce a un SMS in occasione dei nostri compleanni o altre ricorrenze. Più nessun incontro neanche per le feste di famiglia, i nipotini non ce li portano più qui (prima venivano regolarmente) e ai nostri inviti, fissati con notevole anticipo, ci risponde all’ultimo momento che non possono partecipare in quanto sono impegnati. I ponti si sono rotti anche con i suoi due fratelli con i quali aveva sempre avuto ottimi rapporti e pure con la nonna che ha quasi 101 anni e che, essendo mia figlia l’unica nipote femmina, l’ha sempre prediletta.
All’inizio abbiamo chiesto spiegazioni ma entrambi, lei e suo marito, ci hanno risposto con una semplice risata. Intanto i nostri nipotini li vediamo diventar grandi sulle foto che pubblicano su Facebook!
In attesa di una sua gentile risposta la saluto cordialmente. / Un lettore
Gentile corrispondente,
le confesserò che, dopo tanti anni di ascolti e di consigli, non mi sono mai sentita così imbarazzata. Non perché la sua lettera non sia interessante, anzi lo è sin troppo, ma perché sollecita un tema particolarmente arduo e impegnativo che io stessa, nella mia vita, ho dovuto affrontare. Si tratta della rottura, apparentemente immotivata, di rapporti di affetto e di amicizia che si ritenevano saldi e sicuri. In realtà nella vita non c’è mai nulla di garantito anche se, per quieto vivere, preferiamo dimenticarlo. Non a caso il vostro problema è sorto con la figlia più amata, sia perché unica femmina, sia perché particolarmente attaccata alla famiglia, attenta e premurosa nei vostri confronti e, suppongo anche con gli altri parenti, in particolare con la nonna.
Ora vi chiedete che cosa deve essere avvenuto perché l’idillio si spezzasse trasformando i buoni sentimenti in atteggiamenti di ostilità e di rancore. Di solito questo non avviene quando i legami sono intermittenti, deboli, approssimativi e contraddittori, in questi casi si sfilacciano quasi inavvertitamente. Accade invece che si trancino in modo improvviso e irreparabile (almeno a breve termine) quando sono intensi, caldi, vitali e molto ravvicinati. La contiguità può creare attriti, corrosioni, lacerazioni di cui, in un primo momento, non si scorge la causa. Impossibile non interrogarsi, rievocare il passato, fare confronti, giustificarsi tra sé e sé ma anche cercare pretesti per chiarire quello che non si comprende ma fa soffrire. Meglio essere accusati di qualche cosa piuttosto che di tutto e di niente. Nel primo caso è possibile esprimere le proprie ragioni, ammettere eventuali mancanze (nessuno è perfetto), chiedere scusa e, se ancora possibile, rimediare gli errori compiuti. Ma una condanna senza imputazione e senza appello è un incubo che la ragione rifiuta.
Di fatto esistono emozioni senza pensiero, traumi senza parole, tensioni senza motivazioni che possono suscitare un’angoscia intollerabile. Freud sostiene che l’angoscia è un sentimento che non mente, ma dove si trova la sua verità? Poiché i fatti li avrete indagati più e più volte, cercate di evocare le emozioni, non quelle altrui, che non conoscete, ma le vostre. Che cosa sentite pensando a vostra figlia, al genero, ai nipoti? In quali occasioni siete stati turbati da sensi di disagio, di incomprensione, di abbandono o di collera? È probabile che la causa del malessere si nasconda nella memoria implicita, che registra gli accadimenti ma non li ricorda.
In ogni caso, poiché siete voi a patire più degli altri questa ingiusta frattura, spetta a voi cercare di ricomporla. Il modo di procedere richiede coraggio, immaginazione, creatività. Alcuni chiedono l’intermediazione di una figura autorevole, di un amico fidato, di una persona accetta a entrambi i fronti. Ma dopo due anni è un po’ tardi per coinvolgere una terza persona. In un caso, che si è svolto proprio nella «Stanza del dialogo», la rappacificazione tra padre e figlio è avvenuta grazie alla lettera, accorata e sincera, che il ragazzo, allora adolescente, ha scritto al genitore. Si concludeva con queste parole: «...qualsiasi cosa tu pensi o faccia, sarai sempre mio padre». Anche vostra figlia sarà sempre vostra figlia ed è sulla intelligenza emotiva che dovete puntare più che su quella razionale, fredda e calcolante. Purtroppo la nostra società e la nostra cultura ci preparano più a ragionare che a sentire. Ma, per quanto trascurata, quella competenza è iscritta nel nostro DNA e si tratta solo di attivarla e alimentarla.