I lettori di «Azione», che conoscono Daniele Besomi, hanno certamente apprezzato i suoi contributi sul linguaggio delle crisi che ora, rielaborati e completati con nuovi materiali, sono stati pubblicati in un agile volume della collana «virgola» dall’editore Donzelli di Roma. Come le altre scienze anche l’economia si serve della retorica e delle sue figure per facilitare la trasmissione delle idee. Nelle due parti del suo libro Besomi, valendosi di un’estesissima documentazione – che risale ai primordi della scienza economica per arrivare ai nostri giorni e comprende non solo citazioni da opere scientifiche ma anche da riviste e giornali di più o meno larga tiratura – si occupa in particolare di due aspetti relativi all’uso della retorica nella descrizione e nell’interpretazione delle situazioni in cui il sistema economico non è in equilibrio. Dapprima, dei diversi termini con i quali sono state definite e poi delle metafore usate per descriverle. L’enumerazione dei termini viene fatta nella prima parte. Si inizia da termini come la bolla e l’inganno finanziario, passando poi per la stagnazione e il panico, per arrivare alla crisi. Sempre in questa parte vengono presentati i termini ciclo, recessione e fluttuazioni che fanno parte del vocabolario economico che continuiamo ad usare anche ai nostri giorni.
A me sembra che in questa enumerazione il termine crisi occupi un posto centrale tra l’altro perché, nel corso del tempo, ha cambiato di significato. Mentre all’inizio dell’Ottocento la crisi indicava un momento critico dell’evoluzione economica, alla fine del medesimo secolo, con l’apparire delle teorie del ciclo, la crisi diventa semplicemente una fase dello stesso. La prima parte del libro si chiude con un’analisi della relazione che passa tra scelte lessicali e interpretazioni delle crisi. L’autore si occupa in particolare della questione se l’economia di mercato sia, o meno, in grado di autoregolarsi, ossia di uscire da sola, senza l’intervento dello Stato, da fasi di recessione e di crisi. Egli ritiene infatti che questa questione rappresenti la principale linea di divisione, tanto terminologica quanto interpretativa, tra i diversi approcci al problema delle crisi.
Del libro di Besomi è probabile che gli addetti ai lavori, voglio dire gli economisti, apprezzino di più questa prima parte. È altrettanto probabile, però, che chi non si intende in modo particolare di economia leggerà con maggiore interesse la seconda parte. Qui vengono presentate le numerose metafore che gli economisti e i commentatori dei fatti economici hanno utilizzato, nel corso degli ultimi due secoli e mezzo, per descrivere le crisi. Abbiamo metafore riprese dalla descrizione di fenomeni naturali come tempeste, uragani, terremoti, valanghe, vortici, onde e maree. Oppure termini della medicina come malattie con tanto di febbri e di possibilità di contagio. Ci sono poi metafore legate all’edilizia come fondamenta traballanti e castelli di carte. La fisica e l’astronomia hanno pure dato il loro contributo. Le comete servivano per descrivere il modo inatteso, o, quando il loro ritorno era periodico, il modo atteso con il quale si presentava la crisi. La fantasia dei commentatori e teorici sembra non avere avuto limiti nella ricerca di metafore che possano servire per spiegare le fluttuazioni. Si è così fatto ricorso al moto del pendolo, come pure alle stufe a carbone, alle esplosioni, alle macchine a vapore, al dondolìo dei cavalli a dondolo, e, addirittura, anche la rotazione della terra. Infine, relativamente alla capacità delle crisi di eliminare le aziende più deboli si è parlato anche di estirparzione delle malerbe.
L’autore fa notare come la scelta delle metafore viene fatta in funzione dell’interpretazione che chi le usa intende dare al fenomeno analizzato. Alcune metafore sono equivalenti, ma, in genere, ognuna di esse serve per descrivere solo questa o quella particolarità delle fluttuazioni. Per esempio, come si presentano nel tempo, all’improvviso o in modo regolare; oppure quali sono le loro conseguenze, rovina generale come nel caso di valanghe e terremoti, oppure distruzione selettiva limitata alle unità più deboli con conseguente miglioramento delle opportunità di sviluppo come nel caso dell’estirpazione delle male erbe, o delle tempeste che, per finire, purificano l’atmosfera. Osservo ancora che il libro di Besomi contiene un’utilissima appendice nella quale l’autore riporta la cronologia delle crisi finanziarie e economiche a partire dalla famosa bolla dei bulbi di tulipano, scoppiata in Olanda tra il 1634 e il 1637, per arrivare alla crisi dei subprime del 2007-2008. Nelle conclusioni alla seconda parte Besomi ci avverte che l’uso di metafore può sempre essere una potenziale fonte di errori. In particolare perché praticamente ogni metafora, da lui presentata, può avere un senso diverso, a seconda del modo nel quale viene usata. Già Donald N. Mc Closkey nel suo fondamentale lavoro sulla retorica della scienza economica, avvertiva che «le figure del discorso non sono solo fronzoli. Esse pensano per noi». È quindi un bene che esistano istruzioni per l’uso come questo libro di Daniele Besomi.
Bibliografia
Daniele Besomi: Il linguaggio delle crisi. L’economia tra esplosioni, tempeste e malattie; Donzelli editore, collana virgola, Roma 2017, 265 pp.