Ci risiamo: ogni volta che il turismo cantonale trova un garbuglio sulla sua strada, io devo fare un pellegrinaggio. Era accaduto qualche anno fa e si è ripetuto in questo maggio tutto sommato felice per il turismo in Ticino, oasi beata in un mondo che non si libera di drammi e violenze. Il garbuglio lo hanno appurato i controlli previsti dalla nuova legge cantonale. Da quanto ho appreso, leggendo Gianni Righinetti e Massimo Solari del «Corriere del Ticino», sembra che dalla sessantina di pagine delle verifiche sulla nuova struttura emerga «un quadro in chiaroscuro, nel quale i punti critici sono nettamente in vantaggio». Crepe in un edificio tutto nuovo, insomma; scoperte proprio dall’audit commissionato dal Governo per valutare il funzionamento della nuova agenzia cantonale (che ha sostituito l’Ente autonomo) e delle quattro organizzazioni regionali. Andando a spanne, almeno due punti esigono pronti interventi, oltre a qualche spiegazione sul ritardo accumulato dal documento (già, sono passati sei mesi... ma si sa, certi allarmi è meglio rallentarli). Il primo riguarda i costi (leggi: seggiole, poltrone, divani di lavoro e di... amministrazione, aumentati a dismisura) che la riforma sta favorendo; l’altro, le implicazioni negative riscontrate a livello operativo (l’audit segnala soprattutto gestione del marketing e politiche ad essa collegate), in contrasto, pure, con le finalità promesse dalla riforma.
A questo punto credo sia perlomeno inopportuno tranciar giudizi: meglio aspettare che l’audit faccia il suo corso, arrivando presto davanti... agli stessi politici (e agli stessi circoli interessati) che hanno generato, partorito e varato la nuova legge. Mentre scrivo queste note, paradossalmente, web e giornali riferiscono di dati confortanti per le affluenze durante il ponte dell’Ascensione. Forse è per questo che, leggendo dell’audit negativo, ho pensato a... un dromedario. Non perché ho sospettato che ce ne possa essere uno vero all’agenzia per il turismo cantonale o nelle quattro sotto-sedi regionali, magari di riserva per «scarrozzare» ospiti arabi... No, quello apparso nella mia mente proviene dalla magistrale definizione dell’ineffabile Henry Kissinger: «Il dromedario è un cavallo disegnato da una commissione parlamentare». Un caustico aforisma che sintetizza l’altro suo giudizio: «Lo studio di un problema può essere un facile ripiegamento dalla necessità di fronteggiarlo».
Passati in rassegna crepe e dromedario, resta da spiegare la presenza del pellegrinaggio nel titolo. È tutta un’altra storia. Inizia leggendo Un indovino mi disse di Tiziano Terzani e scoprendo che lo scrittore toscano era stato anche lui in una regione del nord della Birmania che, per atmosfere e paesaggi, mi aveva ricordato il Ticino degli anni Cinquanta. Terzani l’ha descritta con queste mirabili parole: «Non c’era niente di fisico che togliesse il fiato: non un monumento, non un tempio o un palazzo che potesse impressionare in modo particolare. Il fascino commovente di Kengtung stava nella sua atmosfera, nella sua pace, in quell’antico incedere senza affanno della vita». Quelle parole, oltre a confermare la somiglianza con il nostro passato, mi hanno anche fatto capire l’importanza della nostra attrazione turistica di mezzo secolo fa. Anche noi, pur senza avere «niente di fisico che togliesse il fiato», avevamo e potevamo offrire un fascino particolare; anche da noi c’erano atmosfere che attiravano e commuovevano turisti e visitatori, ma a poco a poco le abbiamo perse, barattate con una modernità che ha irrimediabilmente polverizzato l’«antico incedere senza affanno della vita» della nostra gente. Erano le atmosfere ancorate alla quotidianità delle nostre valli, spesso riflesse e rivissute in feste e incontri anche nei maggiori centri; erano situazioni di «fascino commovente» oggi reperibili quasi unicamente in vecchie fotografie o in opere di artisti ticinesi finiti nel dimenticatoio. Parlo di paesaggi, momenti di serenità e religiosità proposti, a volte quasi in serie, dai vari Chiesa, Musfeld, Taddei, Salati, Filippini e da altri artisti a torto considerati minori: come lo xilografo Aldo Patocchi del mirabile Ciliegi in fiore, o gli straordinari cartellonisti, come Daniele Buzzi, o l’Aldo Crivelli che canta la Valle Maggia.
E il pellegrinaggio? Era un espediente per evocare Terzani e la Birmania, o per rivisitare gli artisti «nostrani»? Niente affatto. Il pellegrinaggio è quello, ormai rituale in primavera, fatto il giorno dell’Ascensione e destinato a replicarsi, all’Alpe di Brusino. Già descritto anni fa, lo ripropongo con la speranza che anche qualche addetto dei vari «marketing» turistici afferri il messaggio: Mendrisiotto, Serpiano, una ventina di minuti rigorosamente a piedi tra i faggi, uno spiazzo con castagni secolari e tavoli di cemento, fascino commovente, polenta e tante cose, vino del grotto griffato e gerenti... da coccolare. Finché riusciremo a far sopravvivere miracoli come questo, anche il turismo, nonostante le crepe, avrà speranza.