Le capriole di Edmondo Berselli

/ 20.04.2020
di Aldo Grasso

Dieci anni fa moriva Edmondo Berselli, uno tra i più eclettici e vivaci intellettuali italiani. Severo con gli altri, come sapeva essere con sé stesso. Uno scrittore in grado di mettere nero su bianco le abitudini, le manie, gli errori, ma anche i nostri sogni, di una società in continuo mutamento, che non gioca più la schedina e che fa troppe poche vacanze. Un’Italia da ridere su una cultura da piangere.

Cabaret Italia (Mondadori) raccoglie ora il meglio degli articoli che Berselli ha scritto per «Repubblica» e «l’Espresso», più vari inediti. La sua bravura più rara e sottile (dimostrata in libri fondamentali come Il più mancino dei tiri, Canzoni, Venerati maestri, Adulti con riserva, Sinistrati) sta nel tracciare itinerari diversi nati da suggestioni, da associazioni di idee e di non idee, da rimandi dall’uno all’altro argomento, dalle connessioni più o meno immediate all’interno di ciò che si manifesta come «cultura contemporanea».

Ha scritto sul «Foglio» Marco Ciriello: «L’accademia lontano dall’accademia: benvenuti al luna park Berselli, che a dieci anni dalla morte non ha spento le luci né staccato la corrente. Non è diventato una scuola e nemmeno una chiesa ma è rimasto un parco giochi con le sue giostre diverse: musica, tivù, sport e politica, e il più bel pretesto del giornalismo italiano per raccontarle. Con l’allusione, l’aneddoto e il capovolgimento. Perché Edmondo Berselli era e rimane una capriola: in ogni suo articolo o pagina di libro c’era un giro di testa e quindi una visione rovesciata del mondo, tra i pochi ad essere capace di praticare la disciplina dell’innalzamento del Basso e l’abbassamento dell’Alto, divagando e molleggiando per pagine e pagine senza mai strapparsi né annoiare».

Questa raccolta rappresenta una sorta di autoritratto intellettuale e ci restituisce, in tutta la loro attualità, alcuni tra i suoi più straordinari interventi. Il calcio, l’Emilia, il reality, il Festival di Sanremo, D’Alema («è la figura che riassume la vocazione governativa del vecchio Pci») e Veltroni («il buonista machiavellico»), Kennedy e il Dr House, Beppe Grillo («La Francia ha avuto De Gaulle e noi Grillo»), la plastica, il Mulino Bianco, la questione morale… Per non parlare dei consigli sullo scrivere («L’italiano deve essere corretto. Cioè senza errori di ortografia e di grammatica, sulla sintassi siamo tolleranti. Poche parole straniere, se non servono. Poche citazioni latine, tanto vengono spesso sbagliate. Poi se uno è brillante, gli concediamo tutto. L’importante è farsi capire. Se si è anche divertenti, eccitanti, eccetera, tanto meglio»), dell’identità della televisione («Se non c’è più confine fra generi, nessuna barriera fra realtà e intrattenimento, e di fatto tra spettacolo e spettatori, risulterà sempre più difficile resistere all’asserzione estremistica che tutta la televisione cosiddetta generalista è solo ed esclusivamente intrattenimento»), della fenomenologia del contemporaneo («sappiamo quanto sia irriducibilmente vero lo schema paradossale del filosofo del pessimismo cosmico, Arthur Schopenhauer: “Ogni nuova verità passa per tre fasi. All’inizio si tende a ridicolizzarla. Poi la si attacca violentemente. Infine, la si dà per certa”. A occhio, oggi dovremmo essere prossimi all’ultima fase»).

Si direbbe che ogni argomento che alimenta il «dibattito pubblico» e il cicaleccio da social venga scompigliato da questi lunghi corsivi (Berselli non si atteggiava a saggio né riteneva che i giornali potessero ospitare saggi). Così, il lettore ritroverà, o scoprirà con delizia, testi che affrontano questioni su cui l’attenzione non è meno rovente di quanto lo fossero nei giorni della stesura. Con un’avvertenza fondamentale: Berselli è l’opposto di quella figura oggi straripante nei giornali e in televisione che va sotto il nome di «opinionista». Essere opinionista una volta era una prerogativa, adesso è un mestiere. Mestiere, s’intende, a cottimo. È il terziario che è avanzato (in tutti i sensi). Nei dibattiti, nei talk, serve sempre la presenza di un incendiario che alimenti il fuoco della contesa. Fa parte del gioco, perché l’opinione fonda la sua retorica sulla frase fatta.

Una sola idea forte ha accompagnato quasi tutti gli scritti di Berselli. L’idea è che l’atmosfera degli anni Sessanta, il «sogno» di quel decennio, abbia illuminato di una luce diversa anche i decenni successivi. Per questo, non può fare a meno di commentare un discorso di Papa Ratzinger sul tanto evocato Sessantotto: «A fine luglio (2007, ndr.), Benedetto XVI aveva qualificato il Sessantotto come “una fase di crisi nella cultura in Occidente”. Certamente, ha più titoli e strumenti il papa a censurare il “relativismo intellettuale e morale del Sessantotto”, di quanti non ne abbia Sarkozy. La “fides” è in antitesi con la secolarizzazione innescata dal Sessantotto, la “ratio” è un antidoto all’irrazionalismo dell’“immaginazione al potere”.

Se ora la crisi apertasi cinquant’anni fa si richiude, qui nei confini domestici ci saranno molti sospiri di sollievo: anche se non è detto che sia un gran vantaggio veder tramontare i vecchi sogni della rivoluzione e della rivolta, per ritrovarsi nel proliferare caotico, catodico e internettiano dell’antipolitica».