Lavarsi è necessario?

/ 02.05.2017
di Maria Bettetini

Adesso sembra molto fine parlare delle docce. Non le docce di cemento, che coprono quel che di un edificio non si deve vedere; non le docce emozionali, con l’acqua che cambia colore secondo le leggi della cromoterapia. Docce: quante al giorno, a settimana? Dipende, risponde il buon senso. Tante, diceva la fissazione postmoderna per l’igiene. Pochissime, chiude l’appassionato di natura-rispetto-umanità, intesi in senso fisico. La polemica è filosofica, non mondana. D’accordo, Brad Pitt e Raz Degan sostengono di lavarsi poco. È l’ultima moda. Essendo una moda, ecco i dermatologi a dire sì, la pelle non ama essere lavata troppo e i medici tutti a sostenere il valore dell’autodifesa.

Per carità, non le dovete insegnare ai filosofi queste cose, che per quanto si sappia non hanno brillato come campioni dell’acqua e sapone. Pensiamo ai Cinici, contenti di vivere appunto come kynoi, cani, indifferenti al freddo e al caldo, senza esigenza che non potesse essere risolta dalla vita di strada. Diogene è ricordato vestito con una botte o anche nudo, che chiede ad Alessandro Magno solo un favore: spostati, mi fai ombra. Non sembra uno stile di vita amante dell’acqua calda né a rischio rupofobia, l’ossessione per il pulito, le cui conseguenze vanno dall’evitare i mezzi pubblici al non dare la mano al lavarsi in maniera ossessiva. Sul versante opposto, i filosofi. Non solo per quella propensione ai capelli incolti e alla barba non curata, così amata anche ai nostri giorni, ma proprio per la teorizzazione dell’inutilità, o addirittura della cattiveria, del concedersi spesso a acqua e sapone – che poi il sapone esiste in Europa solo da un paio di millenni, ed è diffuso da molto meno tempo. Si legge nella Storia naturale di Plinio il Vecchio che il sapone è un’invenzione dei Galli, molto utile «per dare una tinta rossastra ai capelli», quindi non certo per lavarsi. Scopriamo poi la ricetta gallica: «Questa sostanza è preparata da sego e dalle ceneri, le migliori per lo scopo sono le ceneri di faggio e il grasso di capra: ce ne sono due generi, il sapone duro e quello liquido, entrambi molto usati dalla gente della Germania, gli uomini, in particolare, più delle donne».

Ma, nella pratica, come si è evoluto, o come è arretrato, il concetto di igiene, che oggi non è più tanto di moda? In Grecia è noto che non fosse considerato un bisogno primario: solo gli atleti, uomini, si «pulivano» ricoprendosi di olio che poi veniva tolto dalla pelle con uno strumento simile a quello con cui ancora oggi si strigliano i cavalli. Anche nei momenti culmine della civiltà greca, nulla si dice dell’igiene personale, perfino l’attenzione di Aristotele è esclusivamente per la pulizia della città. Nella Costituzione degli Ateniesi, tra le funzioni del Consiglio (dei cinquecento, estratti a sorte), Aristotele racconta che dieci ispettori, estratti a sorte a loro volta tra i cinquecento, si occupano della pulizia della città, con impegni ben curiosi. Innanzitutto gli ispettori «sorvegliano che le suonatrici di flauto, di lira e di cetra non ricevano un compenso superiore alle due dracme e, se più persone cercano di accaparrarsi la stessa musicista, tirano a sorte e l’assegnano al sorteggiato». Quindi la «pulizia» incomincia dalla gestione delle prostitute, chiamate musicanti non, o non solo, per ipocrisia, ma proprio perché gli strumenti musicali venivano suonati solo da saltimbanchi e prostitute. Poi gli ispettori «sorvegliano che gli addetti alla nettezza urbana non gettino lo sterco entro un raggio di dieci stadi dalle mura», e qui siamo già nel campo dell’igiene. Infine «portano via i cadaveri di coloro che sono morti per strada con l’ausilio degli schiavi pubblici». Dimentichiamo l’immagine idealizzata delle vie intorno al Partenone: altro che marmi bianchi, abiti candidi, aria da città alla De Chirico: servivano ispettori per gestire la rimozione di cadaveri, che evidentemente con normalità erano sparsi dove qualcuno era morto per strada.

E nel resto del mondo, dove non c’erano ispettori? Doveva essere davvero sgradevole passeggiare, mai però come nelle città dell’Europa industriale a partire dal Settecento fino al secolo scorso. Alla non abitudine ai bagni si sommava il dramma dell’affollamento, quindi dei mendicanti, di coloro che vivevano per strada e non per scelta: il tutto in città ancora prive di luce artificiale, con le vie strette e utilizzate come fogne. Chiudiamo cancellando questa brutta immagine tornando all’antico, ai Romani che a differenza di tutti si lavavano ogni giorno – se pur senza sapone, nelle case dei benestanti e nei bagni pubblici, nelle grandi città e nei paesini di campagna, dove ancora oggi è possibile trovare i resti di piccole graziose terme.