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L’attesa positiva

/ 16.01.2017
di Silvia Vegetti Finzi

Gentile signora Vegetti Finzi,
le faccio innanzitutto i complimenti per il suo libro Una bambina senza stella, dove ho trovato una similitudine nella freddezza di una madre nell’infanzia.

La mia domanda a lei è questa: si deve credere ancora di incontrare una persona con cui fare un cammino per gli anni che ci rimangono? Io sono una 57enne, mi reputo una persona dinamica e, pur lavorando, nel mio tempo libero, vado a correre, al cinema, a teatro, a ballare, cerco di far combaciare tutto questo con la cura della mia famiglia, con 2 figli ormai grandi (uno vive con me).

Sono stata lasciata da mio marito 17 anni fa per una donna più giovane e dopo è stata dura andare avanti ma come una araba fenice sono riuscita ad uscire dalle ceneri con i miei figli che adoro e che mi paiono sereni.

Adesso credo che sia venuto il mio momento e quindi desidero incontrare una persona con cui condividere la quotidianità, ma trovo persone superficiali e che non hanno intenzioni di iniziare una relazione seria. Forse ci si mette anche questo periodo di festività a far pesare la mancanza di qualcuno che ti voglia bene, anche se so di sicuro che ho il bene dei miei figli e delle mie care amiche, ma non è la stessa cosa. Devo accantonare questo mio desiderio? So che non ha la sfera di cristallo ma mi farebbe piacere sapere cosa ne pensa. / Isanna

Cara Isanna,
grazie per i complimenti che rivolge al mio libro e per la consonanza che segnala tra le nostre infanzie, purtroppo rattristate da una madre fredda e distante. Mentre la cultura (basta pensare alle fiabe) ha da sempre accusato e punito la matrigna che odia e maltratta i bambini, solo ultimamente ci si è accorti di quanto possa essere dannosa una mamma indifferente. I figli hanno infatti bisogno di essere accolti con disponibilità, seguiti con sensibilità e accuditi con affetto, altrimenti si apre un vuoto nel loro cuore che, per tutta la vita, cercheranno di colmare. Per fortuna a ciascuno viene concessa una «seconda volta», una occasione per ottenere quanto, nell’infanzia, gli è mancato. 

Penso che lei sia stata una buona moglie, e una brava mamma per i suoi ragazzi ormai grandi e sereni. Ma suppongo che la sofferenza provata per l’abbandono di suo marito abbia lasciato nel suo animo una cicatrice che il tempo non riesce a rimarginare. Questo vale per tutte ma per chi, come noi, non ha avuto a tempo debito la sua parte d’affetto, il trauma risulta più acuto. 

Il desiderio che ora prova di avere accanto a sé un consorte, proprio nel senso di «una persona con cui condividere la sorte», le fa onore perché rivela un desiderio di vivere, di con-vivere, di sentire il suo cuore battere all’unisono con quello di un altro, che è il contrario della «depressione narcisistica» di chi si chiude in sé stesso, ormai insensibile ai desideri propri e altrui. L’esperienza che ho tratto da tanti anni di ascolto e di aiuto mi ha insegnato che la solitudine, non scelta, ma imposta dal destino è sempre dolorosa e che sono davvero tante le persone che dentro si sé desiderano mettersi in coppia, magari per condividere serenamente la quotidianità. Ma il timore di essere respinte, di sembrare patetiche, le dissuade dal tentare un approccio con chi incontrano sul loro cammino e in cui colgono la medesima propensione.

Sono soprattutto gli uomini a mostrarsi più timidi e bloccati. Forse perché, in gioventù, l’approccio con l’altro sesso è avvenuto sulla spinta della pulsione sessuale e ora, divenuti più che adulti, non trovano altre motivazioni e nuovi codici di comunicazione per mettersi in relazione con chi si trova nella loro condizione. Eppure, mi creda, i cosiddetti single non solo desiderano uscire dall’isolamento in cui si trovano, ma ne hanno bisogno molto più di noi donne che, come nel suo caso, sanno circondarsi di buone amiche. Tuttavia nessuna amicizia può sopperire l’assidua presenza di un partner, per chi lo desidera naturalmente. L’incontro fatale accade di solito per «affinità elettive», per segrete sintonie, per cui è inutile esplicitare la richiesta di una relazione amorosa esibendo atteggiamenti di disponibilità, che spaventano gli uomini e li fanno scappare. Più opportuno invece propiziare le conoscenze condividendo attività neutrali, come un cineforum, un centro culturale, visite guidate, gite turistiche, occasioni gastronomiche, sport e passatempi, a seconda del carattere e delle propensioni.

Fermo restando che l’amore, come la felicità, non è un diritto ma una opportunità e, come tale, si può attendere ma non pretendere. L’attesa però, contrariamente a quanto si crede, non è una posizione passiva e rinunciataria, ma attiva, positiva, vitale. Scrive in proposito Oscar Wilde: «se la felicità fosse una casa, la stanza più grande sarebbe la sala d’aspetto». Sarà per questo che ho appena scritto un libro intitolato L’ospite più atteso per convincere, raccontando ancora una volta la mia storia, sulla importanza della maternità in generale e della gravidanza in particolare, una esperienza che, vissuta sino in fondo, può valere un’intera esistenza. Tanti auguri, cara Isanna, a lei e a tutti coloro che, per il solo fatto di essere vivi sono in attesa, anche senza saperlo, che qualcosa accada.