Cara Silvia,
per quindici anni sono stata un’adultera mentre tutti (salvo mia madre) mi ritenevano moglie e madre felice. Certa di aver trovato l’uomo della mia vita e di essere altrettanto riamata, credevo che sarebbe stato disposto ad abbandonare la sua famiglia per vivere con me. Ma non gliel’ho mai chiesto per non far del male ai miei figli, per non ostacolare la loro crescita. Ma ora, sapendo che alla fine dell’estate si sarebbero entrambi trasferiti all’estero, ho osato accennare a una convivenza. Da quel momento tutto è cambiato, in peggio naturalmente. Avrebbe potuto dirmi «mi dispiace, è troppo tardi» invece niente. Zitto zitto è scomparso: ha cambiato numero di cellulare non si fa vedere al solito bar, non frequenta più gli amici comuni. Per me neppure una parola. Un taglio così improvviso non me lo aspettavo. Mi ferisce nel corpo e nell’anima. Non so darmi pace e vorrei solo morire. Perché tanta crudeltà? / Eva disperata
Cara Eva,
l’aggettivo «disperata» svela proprio l’obiettivo che il suo amante voleva ottenere: ridurla nella condizione di umiliazione in cui lui si è trovato per anni a causa della sua determinazione a privilegiare il benessere dei figli rispetto alla realizzazione del vostro rapporto. Risponderle «occhio per occhio, dente per dente» è stata la sua vendetta e, come ogni vendetta, rincara la dose rispetto al danno subito.
Non sono sicura che lui volesse davvero lasciare la famiglia. Di solito gli uomini preferiscono procedere su due binari piuttosto che scegliere. Ma indubbiamente non si aspettava di venire ancora una volta strumentalizzato a interessi che non sono i suoi. Lei lo ha trattato come un oggetto che si può allontanare o avvicinare a piacimento. Ponendolo di fronte a una scelta, lo ha indotto a prendere una decisione che probabilmente covava da tempo. Tagliare la corda è stato allora un modo per non gestire la fine, per non indugiare nei commiati. Di solito quando uno lascia, ha già lasciato. Certo lo stile non è stato dei migliori ma le buone maniere non abitano la fine di un amore. Ci separiamo così male proprio perché stiamo vivendo, o crediamo di vivere, una catastrofe. Lasciarsi dolorosamente è un modo per riconoscere che l’amore c’era e che quella che abbiamo vissuto era una storia profonda, difficile da sradicare. Solo nel momento del crollo possiamo misurare, dalla entità delle macerie, la quantità del nostro amore. E al tempo stesso comprendere che ci siamo sempre illusi, che c’era qualche cosa di non detto nella relazione. Quanto pagherebbe l’abbandonato per comprendere le vere ragioni del suo abbandono! Ma anche chi lascia non sempre sa perché lo fa e come mai proprio in quel momento e in quel modo. Probabilmente il fatto che lei considerasse il suo amante un complemento secondario della vita familiare deve averlo deluso anche se, senza dichiararlo, lui si è sempre comportato nello stesso modo. Ma il copione delle relazioni familiari vuole che lei desideri formalizzare l’unione mentre lui preferisca garantirsi un margine di autonomia. È un gioco delle parti difficile da districare. Di certo la sua richiesta di convivenza e di matrimonio ha scombinato le carte rivelando che la vostra passione è stata una «schiuma frenata», subordinata all’interesse di altri, apparentemente assenti dalla scena ma in realtà coprotagonisti. L’adulterio è sempre una commedia con più personaggi, anche se alcuni rimangono dietro le quinte.
Purtroppo la nostra cultura non ci aiuta a elaborare il lutto dell’abbandono e a organizzare la cerimonia degli addii. Una giovane donna, lasciata dal fidanzato dopo sei anni di fidanzamento, ha chiuso la sequela delle recriminazioni «condannandolo» a inviarle per sei mesi, ogni mattina, una rosa bianca. In questo modo ha ingentilito un atto che rischiava di diventare brutale. Ma quanti sanno essere così geniali?
Scrive l’antropologo Franco La Cecla in Lasciami. Ignoranza dei congedi: «com’è possibile che le persone per chiudere una storia d’amore debbano essere crudeli?.... Uscire, congedarsi richiede una competenza che non è ovviamente solo individuale, ed è strano che in assenza di riti si tenda ad assimilare ogni uscita a una forma di incidente mortale, di tragedia sopita, di assurdo non tematizzato, di urlo non espresso, di fallimento non ammesso». Nell’epoca fluida in cui viviamo cerchiamo di rendere le relazioni sempre più leggere, provvisorie, disimpegnate, eppure quando finiscono ci troviamo avvinti da lacci molto più tenaci di quanto credessimo. Nei legami affettivi entrano in gioco tutte le vibrazioni, le emozioni, le passioni di cui siamo capaci per cui, nel momento dello scacco, preferiamo tagliare il nodo piuttosto che scioglierlo. I rapporti privati si basano spesso su valori e pratiche in cui non crediamo più ma che si perpetuano per abitudine, per convenzione, per stanchezza e viltà, senza che subentri un’opera culturale di “ingentilimento”». «In fin dei conti – conclude La Cecla – il maggior difetto nostro, oggi, è di non avere un progetto generale di civilizzazione del mondo in cui viviamo».