L'ascesa di Nigel Farage

/ 17.06.2019
di Aldo Cazzullo

Ma Nigel Farage diventerà mai primo ministro? Continuo a credere di no. Ma la crisi in cui si sono avvitati i conservatori inglesi può davvero aprire la strada a qualsiasi soluzione.

Intervistai Nigel Farage alla vigilia del referendum sulla Brexit. Il mio amico Federico Bianchi dell’ambasciata italiana a Londra mi procurò il cellulare del suo portavoce, il quale mi disse di vederci al pub di fronte a Westminster. Alla quarta birra biascicò che era inutile chiedere appuntamento a Farage: bisognava pararglisi di fronte e sperare che avesse voglia di parlare. Andai a Folkestone, il paese del Kent dove sbuca il tunnel sotto la Manica, in cui doveva tenere un comizio. Per fortuna – complice pure nel suo caso qualche pinta – aveva voglia di parlare.

E mi spiegò quella che considerava la vera storia d’Europa: «Il Paese-chiave, l’anello debole della catena che imprigiona i popoli del continente, è l’Italia. Fine anni ’90: Prodi e Ciampi portano Roma nell’euro. Io tengo il mio primo discorso a Strasburgo e dico: l’euro è fatto per il Nord Europa, non per i Paesi mediterranei: li getterà in rovina. 2004: Prodi porta in Europa i Paesi ex comunisti, che non sono ancora diventati vere democrazie; e oggi la seconda lingua di Londra è il polacco. 2008: Berlusconi viene eletto in libere elezioni e prende le distanze da Bruxelles e da Berlino. 2011: un colpo di Stato destituisce Berlusconi e lo rimpiazza con un governo fantoccio, affidato a un uomo della Goldman Sachs. Che sarebbe Mario Monti.

Quando arrivò a Strasburgo tutti si alzarono ad applaudire, come se fosse entrato il messia. Io rimasi seduto. Mi dicevo: l’Italia è un grande Paese, non può farsi trattare come una colonia tedesca. Infatti alle elezioni del 2013 Grillo è il primo partito. 2015: referendum in Grecia; il popolo vota no all’Europa, ma Tsipras si piega. Il 2016 è l’anno della svolta. Viviamo un momento cruciale della storia».

Cioè, chiedo? «Grillo e io distruggeremo la vecchia Unione europea. Il 19 giugno i 5 Stelle eleggono il sindaco della capitale e cambiano l’Italia. Il 23 giugno la Gran Bretagna esce dall’Unione e cambia l’Europa. Ci sarà un effetto-domino: prima se ne andranno i Paesi del Nord, poi gli altri, uno a uno…Questo referendum è l’evento più importante dal 1957: l’Ue sta per crollare…».

Esagerava; ma qualcosa l’ha azzeccata.

Farage però non è un estremista di destra. Quando il suo partito di allora, l’Ukip – partito per l’indipendenza del Regno Unito – è finito in mano a fascistoidi islamofobi, lui si è fatto il suo nuovo movimento, il Brexit Party. Farage è un nazionalista britannico. È cresciuto nelle file dei conservatori. In ufficio ha il ritratto di Margaret Thatcher. È convinto, forse a ragione, che la Lady di ferro non avrebbe mai firmato il trattato di Maastricht.

Gli chiesi se il problema per il Regno Unito fossero gli immigrati dai Paesi del Sud e dell’Est dell’Europa. Mi rispose ovviamente di no: «I ragazzi italiani, spagnoli, polacchi che lavorano nella City come nei ristoranti sono meravigliosi. Non ho nulla contro di loro. Ma non reggiamo più: la sanità pubblica sta saltando, i nostri giovani non trovano casa e lavoro. Londra non è più una città inglese. Gli italiani, gli spagnoli, i polacchi in gamba potranno continuare a venire; ma con le nostre regole, non con quelle di Bruxelles».

In realtà, Londra avrà sempre bisogno di manodopera straniera a basso costo. Ma non ha tutti i torti Farage quando dice che la capitale non è più una città inglese. È la capitale multiculturale del mondo. Questo piace molto ai turisti e in genere agli stranieri, che possono sentirsi come a casa. Ma entusiasma molto meno i ceti popolari britannici, che non possono permettersi di affittare e men che meno di comprare una casa, che faticano a trovare lavoro, che si sentono esclusi dal sistema.

Mentre aspettavo Farage a Folkestone, vidi in un pub la Bbc trasmettere le immagini degli sbarchi a Lampedusa. Non vorrei offendere nessuno, ma a Folkestone, dove a novembre è già inverno e a maggio lo è ancora, Lampedusa appare un luogo esotico. La sensazione che avevano gli avventori del pub è di non entrarci nulla con i problemi di Lampedusa, della Sicilia, dell’Italia. È vero che nessuno di quei migranti probabilmente è mai arrivato nel Regno Unito. Ma in quei giorni a Calais, dall’altra parte della Manica, si era creato un assembramento, detto non a caso Giungla, di africani e maghrebini pronti a tutto pur di salpare verso le bianche scogliere di Dover. Anche così si spiega la (per me triste) ascesa di Farage.