L’arte di saper aspettare

/ 05.11.2018
di Silvia Vegetti Finzi

Gentile Signora Finzi,

con interesse leggo sempre la sua rubrica. Con questa mia lettera vorrei riallacciarmi a quella di Antonio e Livia di lunedì 24 settembre, dove si parlava di saper riconoscere i propri desideri, in quel caso riguardo al figlio. Io invece sono in grande difficoltà con mio marito a causa del riconoscere i propri desideri. Siamo sposati da 16 anni e abbiamo due figli adottati di 11 e 6 anni. Dopo pochi mesi dall’arrivo del primo figlio, c’è stata una prima crisi superata dopo 6 mesi, ed io avevo pensato fosse stata colpa mia e mi sono assunta le responsabilità della situazione credendo di aver dedicato troppo tempo al nuovo arrivato e troppo poco alla coppia. Poi tutto sembrava risolto, e così insieme ci siamo incamminati verso il secondo figlio. Dopo un anno dal suo arrivo, un’altra crisi che dura da oltre un anno. Mio marito dice che ha bisogno di riconoscere i suoi desideri, che la vita che ha fatto con me fino ad ora non lo rende autentico, lo ha fatto perché così s’aspettavano tutti. Ha bisogno di cogliere nuove e stimolanti attività, vivere una vita piena cogliendo ogni opportunità. Io mi chiedo, ma a 45 anni e dopo aver formato una famiglia, com’è possibile che una persona abbia ancora bisogno di cercare dell’altro, di voler percorre una nuova strada abbandonando coloro con i quali è stato costruito un cammino, possibile che questo cammino lungo 16 anni stia stretto e che si abbia bisogno di creare nuovi progetti che rendano soddisfatti, possibile che una persona si possa rendere conto solo ora di aver mentito a se stesso (e agli altri) per non aver vissuto in modo autentico? Mentre io ora mi ritrovo sola a gestire il tutto, con la tristezza nel cuore, la necessità di reagire per far fronte al quotidiano e con una domanda che mi assilla: vale la pena continuare a lottare e sperare? Grazie. / Donatella

 

Cara Donatella,

innanzitutto grazie per la fiducia che mi dimostra e benvenuta nella «stanza del dialogo».

La sua lettera mi permette di approfondire il tema del desiderio uno dei più importanti e complessi della psicoanalisi. Tenga conto che la sua rilevanza viene scoperta da Freud nell’interpretazione dei sogni dove emerge chiaramente l’attività di un pensiero notturno che cerca di soddisfare nel sonno desideri proibiti di giorno perché condannati dalla società e dal Super-io, l’istanza interiore che rappresenta le norme morali.

Tutti noi viviamo nel conflitto tra desideri e interdizioni, conflitto che si fa più intenso in certe stagioni della vita come l’adolescenza e la tarda maturità. Suo marito si trova appunto in un campo di battaglia tra «vorrei e non vorrei», come canta don Giovanni di Mozart. Il momento più delicato è quando, compiendo un bilancio della propria vita, ci si rende conto di quanto non è stato realizzato, di quanto è rimasto incompiuto e si vorrebbe tornare indietro riavvolgendo la moviola del tempo.

Ma non è detto che l’alternativa sia l’abbandono della famiglia e la costruzione di una nuova relazione sentimentale, come lei sembra dare per scontato. Può darsi che l’aspirazione sia un’altra, magari poco chiara anche a chi, pur vivendo nello scontento, non sa intravvedere una soluzione desiderabile e possibile.

Quello che chiede il desiderio, ancor prima di venire appagato, è di essere riconosciuto. Ed è soprattutto il sintomo a porre la domanda giusta. Non sappiamo da quali comportamenti di suo marito lei tragga la convinzione di essere abbandonata e di trovarsi sola con i due figli adottivi, che le sembrano più desiderati da lei che dal padre. Le lamentele, da sole, rappresentano soprattutto una richiesta di aiuto e di conforto.

È difficile nella famiglia, un organismo vivente, distinguere le illazioni dalla realtà, separare le paure, resistere alla tentazione di proiettare sull’altro anche il proprio disagio.

In questo momento suo marito ha bisogno di ascolto e di comprensione perché soltanto nel dialogo emergono i propri desideri, sempre parziali, ambivalenti contradditori. Può darsi, come lei teme, che sia in crisi perché non vi ama più ma, se così fosse, lasci che sia lui a dirlo, non spetta a lei suggerirglielo. Spesso noi donne non tolleriamo la sospensione, il dubbio, la contraddizione e preferiamo far precipitare la situazione piuttosto che attendere. Dobbiamo invece recuperare l’arte antica di saper aspettare, come suggerisce il mito di Penelope che, facendo e disfacendo la tela, riesce ad accogliere Ulisse, il marito che ritorna dopo anni di inquieta, perigliosa navigazione.

Nel frattempo cerchi di propiziare la crescita dei vostri ragazzi stabilendo in casa e fuori un clima di fiducia e di speranza. Non disperi: in fondo, anche dopo la notte più lunga, viene sempre il mattino.

Con gli auguri di tutti i protagonisti, lettori e corrispondenti, di questo piccolo luogo di parola.

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