L’ambiente da Heidi a Greta

/ 14.10.2019
di Orazio Martinetti

La piccola Greta ha fatto diventare tutti verdi. Quasi tutti. Qualcuno l’ha insultata e derisa, verde anche lui ma di rabbia, come se lo scricciolo svedese avesse toccato un nervo scoperto. Chissà che interessi nasconde, si è insinuato, e quali sono i burattinai che la muovono dietro le quinte.

Anche una cospicua quota di giovani elvetici segue le sue gesta, ed è un bene. Per una volta non volano sampietrini e la polizia non spara pallottole di gomma. I cortei sono pacifici, l’unica arma che brandiscono è quella dell’ironia, e speriamo (verde-speranza) che continuino così.

Il tempo dirà se la protesta proseguirà o si rivelerà un fuoco di paglia, frutto di quello spirito gregario cui soccombono spesso gli adolescenti, come da più parti si sostiene. Purtroppo il cambiamento climatico non è fenomeno passeggero, ma un dato di fatto, confermato da una messe di ricerche scientifiche. La contrazione dei ghiacciai è continua, il raffronto fotografico tra le epoche è, questo sì, raggelante. Lingue un tempo maestose sono ormai ridotte a rivoli melmosi.

Dal clima all’ambiente il passo è breve, sono due facce di un poliedro dai tratti vieppiù emergenziali. Ma la Svizzera, nel solco dei paesi nordici, non arriva ultima nella riflessione sui rischi ambientali; anzi, i primi segnali d’allarme furono lanciati al principio del Novecento. Cerchie borghesi illuminate si proposero di «proteggere la patria» (Heimatschutz) dall’assalto della speculazione e di progetti megalomani al servizio dell’«industria dei forestieri», com’era allora chiamato il turismo. Solo una vasta mobilitazione riuscì ad impedire la costruzione di una ferrovia ai piedi del Cervino. In quegli anni – alle soglie della «belle époque» – iniziarono pure a circolare i romanzi di Johanna Spyri con le avventure di Heidi, colme di rimpianti per un mondo incontaminato e innocente insidiato dai guasti provocati da una modernità sferragliante.

La seconda ondata di protesta prese avvio nel secondo dopoguerra, come reazione all’affacciarsi di progetti faraonici nel campo idroelettrico. Una vasta campagna cercò di impedire la costruzione di una centrale a Rheinau per sfruttare le acque del Reno. Il popolo, chiamato alle urne, non condivise però le ragioni degli oppositori e l’impianto si fece. Invece altre iniziative andarono a buon fine, come nel comprensorio della Greina, che si voleva sommergere, e come nell’alta Engadina minacciata da uno sbarramento artificiale.

In seguito irruppe la questione nucleare: Kaiseraugst divenne il simbolo di una estenuante battaglia, culminata nell’abbandono del progetto. I ticinesi ricordano ancora l’insano proposito di stivare le scorie radioattive nella geologicamente instabile Val Canaria.

In quel giro d’anni, sempre nel Nord d’Europa, nascono i primi partiti ecologisti. L’ambiente entra nei programmi politici come idea-guida. I timori che la «surchauffe» economica divori le risorse naturali senza rigenerarle fanno breccia anche tra gli scettici. Nel 1972 il rapporto del Club di Roma sui limiti dello sviluppo permette di sostanziare le ansie galoppanti con i dati raccolti dalla comunità scientifica. C’è anche chi sbaglia bersaglio, individuando nell’eccessiva presenza di stranieri – nella Überfremdung – e non nel modello produttivo dominante la causa dell’alterazione del territorio e dei costumi nazionali. Nel 1985 il Consiglio federale propose un indirizzo strategico promettente: la «crescita qualitativa». Piogge acide e moria dei boschi avevano gettato l’opinione pubblica nello sconforto. La via indicata era giusta, ma purtroppo i provvedimenti varati in quell’occasione rimasero settoriali e non intaccarono la logica soggiacente al mondo della produzione e del consumo.

Dopo anni di controversie sulle fonti d’inquinamento e sui metodi migliori per combatterle, scienza e folle giovanili paiono oggi condividere una concezione olistica della società e quindi la necessità di ragionare tenendo conto dell’incidenza di tutte le variabili di maggior impatto, dal traffico alle emissioni mefitiche, dai rifiuti all’invasione delle plastiche. Resta da vedere come queste istanze finiranno nell’agenda dei politici, memento di una preoccupazione costante anche dopo aver archiviato le campagne elettorali.