L’altra faccia dell’e-money

/ 09.03.2020
di Ovidio Biffi

A sentire di primo mattino i colleghi della trasmissione «Modem» di Rete Uno, la notizia giungeva dalla Finlandia, «più precisamente dalla sua banca centrale». In realtà già due giorni prima era stata riportata anche da agenzie italiane (Adnkronos), tanto che Andrea Tarquini l’aveva subito e sapientemente commentata in un editoriale su «Repubblica». La notizia venuta a galla era questa: a fine anno i finlandesi si sono ritrovati con un indebitamento delle famiglie e di privati cittadini pari al 127% del proprio reddito, ovvero in pieno iperindebitamento, termine tecnico che indica chi non riesce più a sostenere i propri impegni economici e rimborsare finanziamenti o debiti.

Le cause di questo fenomeno, assai più grave del debito pubblico che bolla politiche economiche poco virtuose, vengono ricondotte dagli esperti al progressivo abbandono del denaro contante e alla parallela crescita nell’uso fra la popolazione dei pagamenti elettronici. E questo capita non sulle rive del Mediterraneo sempre tartassate dai tecnici di Bruxelles, ma nel paese che all’interno dell’Ue e unitamente alle altre nazioni scandinave figura come modello nell’adozione e nell’uso di sistemi di pagamento elettronici, e di riflesso anche nella lotta totale all’evasione fiscale, grazie alla tracciabilità dei pagamenti e alle limitazioni dei prelevamenti in contanti. Quindi i propositi per privilegiare i pagamenti elettronici nascondono inaspettate e gravi insidie come l’iperindebitamento delle fasce più deboli (anziani, giovani e indigenti) della popolazione. Tanto da spingere la Suomen Pankki, la banca centrale finlandese e il governo finlandese retto da Sanna Marin, la più giovane primo ministro del mondo, a intervenire d’urgenza con un programma di corsi, educazione e informazione per cercare di portare soccorso alle fasce di cittadini maggiormente colpiti. 

Ho già avuto modo di spiegare la mia avversione non tanto ai pagamenti digitali in sé, ma piuttosto alla irrefrenabile spinta del mondo finanziario per favorirne l’uso, sino a renderli indirettamente obbligatori, nel senso che il semplice cittadino non ha vie di fuga o alternative perché accerchiato da micro-penalità assurde quando non anti sociali. In tempi insospettabili (quasi cinque anni fa) dopo un servizio del «Corriere del Ticino» dedicato all’inarrestabile ascesa dell’e-payement, avevo avuto la possibilità di esporre sullo stesso giornale la mia contrarietà verso queste «conquiste» digitali. Lo avevo fatto segnalando come questi «progressi», resi inevitabili da ragioni di comodità e da risparmi (ottimizzazioni, li chiamano) garantiti dalle tecnologie digitali, in realtà potessero nascondere motivazioni non sempre trasparenti, anzi: spesso subdole e pericolose soprattutto sotto il profilo sociale e della legalità. Credo sia utile riprendere alcuni punti di quel mio intervento, visto che alla luce dell’iperindebitamento segnalato dalla Finlandia conservano tutta la loro validità. L’intonazione contraria era affidata all’avvertimento lanciato da economisti del Mises Institute, organizzazione accademica liberale di orientamento liberista: «l’obiettivo reale (…) è quello di forzare il grande pubblico a effettuare pagamenti attraverso il sistema finanziario al fine di sostenere le instabili banche a riserva frazionaria e, cosa ancora più importante, per espandere la capacità dei governi di spiare e tenere traccia delle operazioni finanziarie private dei loro cittadini». A rendere più chiaro il peso di quelle strategie citavo poi Willem Buiter, ex funzionario della Banca d’Inghilterra, secondo il quale l’abolizione totale della moneta fisica era fortemente voluta per mitigare la preoccupazione delle Banche centrali nel gestire la leva dei tassi negativi sui depositi, misura che stava per essere avviata in quei momenti e che oggi funziona da perno delle politiche bancarie occidentali.

Quasi cinque anni dopo giunge la prova provata che anche l’e-payement, proprio come le monete, ha un rovescio: un’inattesa quanto pericolosa spinta all’indebitamento individuale. Non era però difficile immaginare che questo potesse verificarsi in scenari in cui governi e amministrazioni, dimenticando tranquillamente crisi, colpe e pericoli di un passato non proprio remoto, hanno consegnato all’industria finanziaria il controllo di prelievi diretti e limiti di spesa, con libertà di decidere e imporre costi aggiuntivi «ad libitum» e di lasciare che i risvolti sociali e morali del problema rimanessero in seconda linea. 

Il fenomeno del superindebitamento non è prettamente finlandese o scandinavo. Lo ha ricordato, a metà febbraio, l’ultima indagine sui redditi e sulle condizioni di vita dell’Ufficio federale di statistica (UST), secondo dati raccolti nel 2017 (quindi con i pagamenti digitali ancora all’inizio). Oltre agli arretrati di pagamento cronici (imposte e premi cassa malati), gli altri tipi di debito cui è stata soggetta la popolazione sono leasing per veicoli, piccoli crediti o crediti al consumo, acquisti a rate ecc. Se si tiene conto di tutti questi sette tipi di debito, nel 2017 il 42,5% della popolazione viveva in un’economia domestica con almeno un debito, in Ticino la quota era addirittura oltre il 50%.

 E tre anni fa con i pagamenti elettronici eravamo solo all’inizio.