Gli investimenti in treni ad alta velocità finiscono sempre per creare spaccature negli elettori, nei Parlamenti, nei governi. È quel che sta sperimentando il Regno Unito di Boris Johnson che ha dato «la luce verde» all’HS2 (sta per High Speed 2), che è il più grande progetto in infrastrutture d’Europa, e che si è ritrovato in mezzo a una ribellione dei suoi stessi parlamentari conservatori. In realtà di luci verdi ne sono arrivate in passato già molte – la prima risale al 2009, la prima sezione costava sette miliardi e avrebbe dovuto essere completata entro quest’anno – a dimostrazione del fatto che incagliarsi su progetti come questi è un attimo.
Johnson ha dalla sua parte una solida maggioranza ai Comuni conquistata alle elezioni di dicembre, una promessa elettorale di sostegno e inclusione per le regioni centrali e del nord dell’Inghilterra che sono passate ai Tory e una predisposizione antica agli investimenti in infrastrutture, che nella sua visione sono lo strumento più utile per creare crescita e allo stesso tempo soddisfare un’esigenza sempre più sentita dalle persone: guadagnare tempo.
Per questo Johnson ha caricato questo progetto di tutta l’enfasi di cui è capace, arrivando a dire che «il governo deve avere le palle e la lungimiranza di andare avanti, nonostante le critiche».
L’HS2 prevede la costruzione di un collegamento ad alta velocità tra Londra e le grandi città del nord – Leeds, Birmingham e Manchester – e una razionalizzazione della circolazione dei treni su tutta la rete, che non viene toccata in modo consistente da quasi cent’anni. Secondo un report commissionato dal governo, l’investimento è necessario perché entro il 2030 l’attuale rete raggiungerà una saturazione e diventerà inevitabile metterci le mani, tanto vale cominciare subito con un piano onnicomprensivo.
I costi però sono altissimi (circa 80 miliardi di sterline), e sulla prima parte, quella che collega Londra a Birmingham non è più vantaggioso fare un contenimento perché ormai costerebbe di più, mentre sul resto del progetto è in corso una valutazione che dovrebbe portare a un consistente taglio dei costi (si allungherebbero i tempi, però, e forse l’alta velocità non sarebbe più così veloce in alcune tratte: insomma, l’impatto finale non è chiaro).
Ma la ribellione non ha soltanto a che fare con i costi. La realizzazione dell’HS2 è stata già ribattezzata «la nuova Brexit» (l’allarmismo nel Regno Unito è diventato invincibile) e ha portato alla rivolta di circa settanta parlamentari conservatori (il Labour corbyniano era a favore dell’investimento, anzi voleva allungare la rete ferroviaria fino alla Scozia), tra i quali ci sono anche molti dei nuovi eletti, che hanno dato una sfumatura più compassionevole al blu dei Tory e che però oggi vogliono mantenere le promesse fatte alle loro comunità.
Tra i ribelli ci sono quelli che temono di dover annunciare entro breve aumenti nella tassazione, l’unico modo per poter ripagare un progetto tanto costoso e dai tempi così lunghi da non poter nemmeno dire quando sarà possibile sollevare i cittadini da quest’onere. Poi ci sono anche quelli che pongono la questione ambientale, un grande classico dell’alta velocità, che piace molto finché non passa di fianco a casa propria: nel caso inglese, si stima che dovranno essere abbattuti 53 ettari di boschi, un danno considerato eccessivo considerando che quelle terre fanno parte dell’identità e della storia inglese.
Lo stesso superconsigliere di Johnson, Dominic Cummings, è scettico: vede il vantaggio dei posti di lavoro che si creerebbero, ma continua a considerare «disastroso» l’impatto sulle comunità più care, quelle del famoso «muro blu» appena nato alle elezioni di dicembre, che non fanno parte delle grandi città e che quindi rimarrebbero escluse dalla modernizzazione.
Johnson però non vuole fermarsi. A chi gli dice che andrebbe riformato il trasporto via terra risponde con 5 miliardi di sterline stanziate per la rete di autobus (con quattromila veicoli a zero emissioni da introdurre) e per le ciclabili nelle città. A chi gli dice che dovrebbe moderare la sua ossessione per le grandi infrastrutture, risponde rilanciando. Ricordate il famoso ponte con cui Johnson voleva risolvere la Brexit e il problema del confine nordirlandese? Ecco, Johnson lo vuole costruire: deve collegare l’Irlanda del nord e la Scozia, costerà 20 miliardi di sterline e c’è già un team al lavoro sui calcoli di fattibilità.