La Vox dell'estrema destra

/ 18.11.2019
di Aldo Cazzullo

In Spagna non esistono tre milioni e 600 mila franchisti. Quindi Santiago Abascal ha raccolto non soltanto un voto nostalgico, quanto – lo dicono le inchieste – un voto urbano, giovane, social, indignato.

Ho seguito il comizio finale di entrambe le campagne elettorali del leader di Vox nel 2019. La prima il 26 aprile, la seconda l’8 novembre. Sempre in plaza Colon, che un tempo apparteneva al partito popolare. E l’ho sentito rivendicare tutto e il contrario di tutto: «Noi siamo la più grande nazione della storia. Siamo il Cid Campeador e don Chisciotte. Siamo Isabella la Cattolica. Siamo Pizarro e Cortes. Siamo Lepanto. Noi siamo la Spagna!».

La sua idea è che «una nazione non è fatta solo dai vivi. È fatta anche dai morti. E da quelli che devono ancora nascere. Noi difenderemo anche loro». Il suo partito si chiama Vox. Come la Voce del popolo. E il discorso dei vivi e dei morti non è solo evocativo. È politico. La Spagna, sostiene Abascal, viene prima degli spagnoli. Gli spagnoli nascono e muoiono; la Spagna è eterna. «Se per assurdo la maggioranza votasse per suicidare la patria, allora noi avremmo il dovere di impedirlo. Fino alle estreme conseguenze». «Valiente-valiente» ritmava la folla.

La nascita dell’estrema destra è merito dei separatisti catalani. «Non si può dialogare con le orde secessioniste, i golpisti criminali che vogliono dividere la più antica nazione d’Europa» è la linea di Abascal.

Fino a poco tempo fa, era solo uno dei tanti burocrati del partito popolare. Poi ha avuto un’intuizione: esisteva un Paese profondo, stanco di una burocrazia corrotta, ma diffidente della sinistra. Lui le ha dato voce, anzi Vox. «Abbiamo risvegliato l’anima dormiente della Spagna».

Il nemico non è soltanto a Barcellona. È ovunque. Il Paese che Abascal sogna è una «nazione omogenea» per lingua, etnia, religione, cultura, morale. Il nemico è «la dittatura progressista, il femminismo suprematista, i professori animalisti che vogliono vietare Cappuccetto Rosso, che invece è la favola più educativa perché insegna il coraggio, e magari domani vieteranno don Chisciotte in quanto islamofobo». Il nemico è «l’Anti-Spagna»: l’omosessuale che vuole sposarsi, la donna che vuole abortire – tollerato invece il divorzio: lui è divorziato –, l’islamico che vuol mettere il velo alla moglie, il basco che parla una lingua incomprensibile.

Anche Abascal è basco. Nato a Bilbao 43 anni fa. Cresciuto sotto scorta. La sua famiglia è stata perseguitata dai terroristi dell’Eta. Papà Santiago era consigliere comunale ad Amurrio, il paese di cui nonno Manuel fu sindaco ai bei tempi del Caudillo. Lui Franco non lo nomina mai: «Ma non rinnegheremo i nostri nonni che combatterono la guerra civile. Allora i progressisti uccidevano i preti e bruciavano le chiese. Anche oggi i progressisti sono nemici della patria. Avversano la corona e la croce. Ma noi cacceremo il traditore Sanchez e il suo governo illegittimo. Viva il Re!». I militanti rispondono: «Viva!». «Viva la Guardia Civil!». «Viva!». Viva la Spagna!». «Viva!».

Le campagne elettorali le comincia a Cavadonga, dove secondo la tradizione i cristiani sconfissero per la prima volta i mori, confortati dall’apparizione della Madonna. Abascal si chiama Santiago, Giacomo, come Santiago Matamoros, il santo che nella leggenda interviene a cavallo sul campo di battaglia per far strage di infedeli. Sostiene che l’identità spagnola si è costruita contro l’Islam; «e ora la sinistra ha lasciato che la nostra patria venisse invasa dagli immigrati musulmani». Il modello è Salvini: «Padroni a casa nostra. Legittima difesa. Stop all’immigrazione araba. Altrimenti nel 2049 saremo minoranza nella nostra terra. E scoppierà una nuova guerra civile. Facciamo venire piuttosto i latinoamericani, che sono nostri fratelli!».

La sua crescita impetuosa renderà più difficile un accordo tra socialisti e popolari. Forse Vox ha toccato il punto massimo. Forse no.