Ogni cento anni, in cima a una torre medievale a Boncourt, appare la dama bianca. Bellissima in eterno perché le notti di plenilunio, per ringiovanire, s’immerge nei bacini d’acqua cristallina in fondo alle grotte ai piedi della torre. Le grotte di Milandre, inaugurate al pubblico il ventotto aprile 1889, una volta erano una grande attrazione. Oggi, chiuse da quasi quarant’anni, non le conosce quasi più nessuno, a parte qualche speleologo della domenica. Mentre dal 1887, in questo paesino sperduto del Giura a un passo dalla Francia, si continua imperterriti a produrre le Parisienne. Epocale marca di sigarette la cui popolarità tocca forse l’apice negli anni novanta, quando caratterizzavano molto gli studenti universitari o i militari e viene girato uno spot pubblicitario da Godard. E che fumavo anch’io, per un periodo, una vita fa. Ora in mani olandesi, hanno fatto la fortuna della famiglia Burrus che assieme a Bürhle e Boveri, a metà del secolo scorso, formavano le «3 B», gli industriali più ricchi della Svizzera.
Un’altra leggenda racconta che il tesoro nascosto in fondo alle grotte, difeso da un drago con la chiave del forziere in bocca, viene sparpagliato nell’erba, al chiaro di luna, una volta per secolo. Bisogna solo conoscere il giorno e l’ora. Alle due e trentasei arrivo a Boncourt dove avvisto quasi subito, lassù nel bosco, la torre di Milandre. Poco lontano, le fa compagnia il silo di una fattoria. Il giallo intenso della Caltha palustris rallegra gli argini erbosi dell’Allaine che a partire da Porrentruy, accompagna il viaggiatore in treno bagnando sinuoso tutti i paesini sul percorso. Immediata è la corrispondenza con il colore del pacchetto morbido delle Parisienne mild dei miei tempi. Senza avvertenze di morte e fregiato del logo, oggi scomparso, dei due leoni simmetrici con lingue di fuoco a fianco del monogramma di François-Joseph Burrus (1805-1879). Rimarchevole l’antico lavatoio-chalet nei pressi della chiusa che mi ricorda un giallo con il commissario Maigret. Dall’altra parte del sentiero c’è una balma dalla quale esce un ruscello sotterraneo: è lì dentro che andava a fare il bagno la dama bianca. In un’altra leggenda ancora, al posto di questa cupa figura che spesso appare nelle notti di luna piena sulle torri dei castelli diroccati europei, c’è la fata Arie. Una sua parente, pare, ricorrente in diverse leggende dell’Ajoie e della Franca Contea – derivata forse dalle druidesse celtiche che officiavano riti e sacrifici a piedi nudi e in abiti bianchi – che qui, prima di bagnarsi nella fonte di eterna giovinezza, posa su un sasso il suo scintillante diadema e si trasforma in viverna. Bestia fantastica del meraviglioso romando, raffigurata come serpentone alato con un occhio solo in forma di prezioso carbonchio, solita fare un bel bagno primaverile appena uscita dal letargo.
M’inoltro nel bosco salendo verso la torre. Il sottobosco è una marea di colombine bianche e violetto. La particolarità della Corydalis cava è quella di presentare, nella stessa popolazione, fiori di due colori diversi. Incontro altre entrate di grotte, quasi tutte bloccate da accumuli di detriti. Nessun indizio dell’entrata turistica delle grotte chiuse a causa delle inondazioni del fiume carsico chiamato Milandrine. Biancastra come il calcare della regione, ben visibile nello sperone roccioso dove sorge, si eleva per una ventina di metri, un pomeriggio a fine aprile, la torre di Milandre (449 m). Unico resto rimasto del castello costruito verso il 1270 per i conti di Montbéliard e distrutto, nel 1674, dalle truppe del maresciallo Turenne. In realtà però era già qui qualche secolo prima, visto che si tratta, dicono, di un dongione di epoca romana caduto in rovina negli anni ottanta. La torre quadrangolare, di proprietà di Alfred Burrus, agricoltore della fattoria vicina e parente di Martin Burrus – contadino alsaziano fondatore della manifattura di tabacco all’origine dell’impero del fumo – viene ceduta al comune di Boncourt e restaurata nel 1988. Una vertiginosa scala a chiocciola di metallo porta in cima, dove tre tristi bandiere sventolano a stento. Dietro si distendono i campi con qualche albero da frutta in fiore. Laggiù nella vallata dell’Allaine, alle spalle della chiesa, c’è la fabbrica delle Parisienne. Nell’aria c’è promessa di pioggia. Da qui, per amore, si è gettata la contessa Ariette di Montbéliard che alcuni sostengono sia la dama bianca locale, in attesa, da secoli, di qualcuno che riesca a salvarla dalla sua dannazione.
Secondo il curato Arthur Daucourt (1849-1926), grande raccoglitore di leggende giurassiane, «per vederla tutti i cento anni, bisogna trovarsi il primo giorno di maggio, verso sera, all’entrata della balma». Sono quasi tentato di ritornarci, osando questa bislacca ricorrenza. Si potrebbe poi combinare con una cena al Lion d’Or di Cornol la cui specialità, da un secolo, è la famosa carpa fritta.