Nei giorni scorsi ho ricevuto, quasi contemporaneamente, due lettere molto diverse tra di loro ma accomunate, come vedremo, da un atteggiamento di fondo.
Cara Silvia,
ho settantacinque anni e, dopo una vita trascorsa insieme, mi sono separata da mio marito, una brava persona, ma di cattivo carattere: pessimista, brontolone, sempre pronto a criticare, incapace di apprezzare, contrariamente a me, le piccole gioie della vita. Tutti mi hanno criticata, salvo mia figlia, che mi ha detto: «mamma, hai fatto benissimo, goditi finalmente la tua vita».
Infatti me la sto godendo: ho ripreso a suonare il pianoforte, a leggere di notte, a cucinare quando voglio e per chi voglio. Ho fatto bene? / Lina
Gentile dottoressa,
a sessant’anni, dopo 20 di convivenza, sono stata abbandonata dal mio compagno, non per un’altra, ma per sentirsi libero di vivere la sua vita, di viaggiare, di conoscere altre persone, di seguire i suoi interessi. Non mi è mai sembrato di impedirglielo ma si vede che mi ero sbagliata. Eravamo sempre insieme, condividendo tutto, e ora non riesco a vivere da sola. Non so come si fa.
Ho chiesto a parenti, amici e conoscenti di starmi vicino, mi sono stordita con viaggi, mostre, spettacoli organizzati, ma non basta. La solitudine mi fa paura, mi sento esclusa, come nel gioco dei quattro cantoni, dallo spazio della vita. E non so come fare. / Gabriella
Care amiche della Stanza del dialogo,
le vostre lettere sembrano l’opposto ma in realtà rivelano un cambiamento radicale: la terza età non è più la stagione della rinuncia, della rassegnazione, di una tranquilla depressione. Sino a qualche generazione fa gli anziani accettavano con naturalezza di essere messi in disparte e, anche quando continuavano a vivere in famiglia, non si sognavano neppure di voler essere felici, di porsi degli obiettivi, di provocare intenzionalmente dei cambiamenti, di chiedersi se erano pronti ad affrontare nuove sfide. Ora, nella società liquida in cui viviamo, tutto si sta omologando: i sessi, le tradizioni, le culture, le età della vita. In un certo senso: siamo tutti adolescenti. Come loro ci sentiamo incollocabili: fragili e inquieti oscilliamo tra il desiderio di vivere con gli altri e di stare da soli. Lina ha avuto il coraggio di rivendicare la sua libertà, Gabriella la soffre come una condanna.
Certo le situazioni sono molto diverse: una cosa è abbandonare, un’altra essere abbandonati. Svolgere un ruolo attivo ci conferma, subire un ruolo passivo ci disorienta. Chi critica Lina ha in mente la coppia coniugale tradizionale: perpetua e solidale, si sentiva in dovere di condividere tanto gli anni della giovinezza, quando predomina l’orgoglio della realizzazione (la professione, i figli, la casa, il benessere economico) quanto gli anni in cui prevale un senso di perdita (il nido vuoto, la salute precaria, gli affetti che si diradano). Ma ora, da quando l’amore «dura finché dura», l’individuo si afferma anche contro gli altri perché considera un diritto la realizzazione di sé. Il narcisismo positivo sta liberando, soprattutto le donne, dalla plurisecolare posizione di dedizione, abnegazione, sottomissione, cancellazione dei propri desideri in funzione dei desideri dei familiari. È giusto collocare anche noi tra le persone da accudire, sostenere, incentivare, rendere felici.
Ma non è facile sottrarsi a modi di vita che si sono susseguiti per innumerevoli generazioni, diritti e doveri così abituali da sembrare naturali. E tutto ciò che consideriamo «naturale» diventa necessario e obbligatorio anche quando è solo consuetudine. In quanto donne abbiamo conquistato, in pochi decenni, ampi margini di libertà ma la libertà fa paura. Come accade a Gabriella, la solitudine ci angoscia, per lo più gli uomini l’accettano mentre le donne cercano in ogni modo di sconfiggerla. Ma, come sostiene la grande psicoanalista Françoise Dolto, esiste una «solitudine felice», quella che si anima delle presenze interne, di un dialogo interiore con le figure più rilevanti della nostra storia, sempre vicine anche quando sono lontane.
Anch’io, dopo la morte di mio marito mi sono posta l’obiettivo di imparare a vivere da sola, che non vuol dire isolata, ma capace di trovare in se stessa il senso del tempo, il significato dello spazio, il piacere delle piccole cose, anche quando non sono condivise. Confesso che non ci sono riuscita ma mi sto impegnando in quello che considero il compito delle vacanze. In autunno mi darò i voti.