La strategia killer di Hillary

/ 31.10.2016
di Paola Peduzzi

Il team di Hillary Clinton ha adottato una nuova strategia che i giornali definiscono senza troppi fronzoli «killer», perché è fatta per stendere non soltanto il rivale Donald Trump (che è un artista degli autogol) ma tutto il Partito repubblicano. I sondaggi registrano un’inversione quasi incredibile dei trend di quest’anno elettorale che restituisce una mappa politica degli Stati Uniti quasi tutta blu: persino i giovani, che sono un elettorato volubile e spesso pigro, oltre che innamorato dell’ex rivale democratico Bernie Sanders, ora sembrano straordinariamente decisi ad andare a votare Hillary.

La tendenza è confermata in tutti i sondaggi e anche se i dubbi restano – quanti errori abbiamo visto in questi anni? È davvero necessario dover ricordare com’è andata, soltanto pochi mesi fa, con la Brexit? – la disperazione del Partito repubblicano fa pensare che i numeri siano veritieri. Negli ultimi giorni i senatori e i deputati in campagna elettorale si sono smarcati da Trump e hanno inaugurato una retorica distruttiva nei confronti di Hillary e dei democratici che non ha nulla a che vedere con il proprio candidato alla Casa Bianca – c’è stato anche un investimento enorme da parte di un SuperPac legato ai repubblicani al Senato, 25 milioni di dollari last minute per arginare la «killer strategy» di Hillary.

Il Congresso americano è composto dalla Camera dei Rappresentanti (435 seggi) che viene rinnovata ogni due anni, quindi l’8 novembre si rinnovano tutti i seggi: i repubblicani hanno la maggioranza al momento e perché la strategia «assassina» dei democratici abbia successo il partito di Hillary (e di Barack Obama, che come si sa è il re dei «killer» in campagna elettorale, ancora quest’anno lo sta dimostrando alla grande) deve confermare i suoi seggi e strapparne almeno 30 ai repubblicani.

Per i sondaggisti quest’ipotesi è possibile, ma non probabile: si tratterebbe davvero di una megavittoria di Hillary. Il mandato dei cento senatori, invece, dura sei anni e ogni due anni viene rinnovato un terzo del Senato: a novembre sono in gioco 34 seggi. Anche al Senato la maggioranza è dei repubblicani, 54 seggi contro 44 dei democratici (due sono indipendenti, tra questi c’è anche Sanders, per dire): dei 34 seggi da rinnovare, 24 sono dei repubblicani, 10 dei democratici. Per vincere quindi i democratici dovrebbero confermare i loro senatori (in Nevada al momento il candidato repubblicano però è avanti, questo spiega perché tutti i big testimonial sono passati dal Nevada da ultimo) e strapparne almeno quattro ai repubblicani, e la gara è apertissima – secondo i sondaggi, a oggi il Partito democratico ha il 65 per cento di possibilità di conquistare il Senato.

I numeri, che sono l’unica unità di misura disponibile a pochi giorni dalle elezioni, sono piuttosto preoccupanti, per questo nel Partito repubblicano è partito un generale «liberi tutti» per permettere a ogni singolo candidato in ogni stato di impostare il finale di campagna a proprio piacimento, senza doversi sempre orientare tra le dichiarazioni e le uscite del candidato Trump. Per questo si è tornato a parlare di Obamacare, che è tra le riforme più importanti dell’Amministrazione uscente e anche la più controversa – e acchiappavoti per i conservatori. Molti americani vedranno i premi delle loro assicurazioni sanitarie salire in modo corposo il 1 novembre per la prima volta dall’introduzione della riforma: come scrivono molti commentatori, in tempi normali questa notizia sarebbe deleteria per Hillary Clinton e per i democratici, per di più a una settimana dal voto, ma questi non sono tempi normali.

Così molti candidati alla Camera e al Senato non citano più Trump nei loro discorsi, mentre finanziatori abili come Sheldon Adelson – proprietario di uno dei rari giornali che hanno fatto l’endorsement per Trump, il «Las Vegas Review-Journal» – da tempo investono più sul Congresso che sulla corsa per la Casa Bianca. Ma i democratici si sentono fortissimi, Obama gira il coltello nella piaga repubblicana non appena può: «Fate in modo che Hillary vinca alla grande. Mandate un messaggio chiaro su quel che siamo come persone su quel che siamo come americani e su quello per cui vale la pena battersi», ha detto in California – e ha già registrato decine di messaggi di sostegno per deputati e senatori democratici in giro per l’America.

Sembra fatta, insomma, soltanto i trumpiani continuano a ripetere che i sondaggi sono falsati e che tra media e numeri i democratici – e il mondo intero – vivono in una bolla trionfalistica. È da mesi che si procede per bolle, e i più saggi ora dicono: non alimentiamo la sicurezza di vittoria di Hillary, perché se per la prima volta Trump ha ragione, lo scoppio di quest’ultima bolla sarà irrimediabile.