La storia infinita

/ 24.02.2020
di Aldo Grasso

Che cos’è la Public History? Per Public History (PH) si intendono quelle attività di recupero della memoria storica che si svolgono per il pubblico e con il pubblico, e che coprono il largo spazio che intercorre fra la Storia accademica e universitaria e la divulgazione sui grandi media. La PH, tuttavia, non si limita a una migliore comunicazione degli argomenti trattati della Storia tradizionale, né a utilizzare i risultati delle ricerche accademiche in pubblico.

Non è soltanto divulgazione colta, come talvolta si equivoca, o «Storia di serie B», ma è anche ricerca innovativa, fatta anche insieme al pubblico e ad altri professionisti. Per i «nuovi storici», per i public historians, uno dei campi d’azione privilegiato è quello della tv e, più in generale, quello dei nuovi media digitali. Il punto sta nel cercare di capire che cosa fare, oggi, della Storia nel mondo reale. In questa riflessione, ci viene in aiuto il concetto di PH che, com’è noto, fa riferimento alla possibilità che la narrazione storica esca dalle aule universitarie, così come dai convegni o dalle riviste scientifiche, e incontri il bisogno più o meno diffuso di conoscere e ricostruire il passato da parte di un pubblico composto non necessariamente da addetti ai lavori.

Su questa scia, viene dunque da interrogarsi su quale sia l’utilità e la funzione della Storia nella sua nuova dimensione pubblica (e, di conseguenza, quale sia il ruolo dei media). In primo luogo, la rappresentazione audiovisiva della Storia diffusa da media tradizionali (il cinema, la tv) e dai nuovi media (quelli digitali) è riconosciuta oggi come «linguaggio della memoria», la fonte del discorso storico per eccellenza, l’espressione condivisa della nostra «Storia pubblica». Gli archivi televisivi costituiscono una fonte ricchissima di immagini che parlano della Storia sociale e culturale di un Paese attraverso l’impiego di generi diversificati – dal documentario al period drama, dal dibattito a nuovi format innovativi – e che alimentano un filone di programmi sempre più complesso ed eterogeneo in termini di retoriche, forme e tecniche di rappresentazione.

Il valore delle fonti audiovisive trova ora nuove modalità di espressione attraverso le possibilità di racconto garantite dalle tecnologie più recenti. Sono in atto interessanti processi di digitalizzazione che stanno investendo gli archivi in termini di conservazione, di circolazione ma, soprattutto, di fruizione dei materiali. Gli archivi offrono, infatti, materiale irrinunciabile per comprendere e raccontare il Novecento e il primo ventennio del nuovo Millennio. Per esempio, la tv, non diversamente dal cinema, assume sempre più la duplice veste di fonte e strumento di narrazione storica. Già da parecchi decenni gli storici hanno sentito la necessità di allargare ai media e ai loro prodotti l’attenzione riservata alle fonti documentali. La prima elaborazione di una metodologia sui media può essere fatta risalire alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, benché gli autori della Nouvelle Histoire, come Lucien Febvre e Marc Bloch, avessero, fin dagli anni Trenta, allargato il territorio in cui lo storico poteva operare. La nuova tendenza metodologica, ribadita e sottolineata da Jacques Le Goff, per il quale «tutto è fonte per lo storico», è quella di annettere nell’ambito della ricerca documenti di varia e spesso insolita estrazione.

Se il Novecento è stato definito il secolo «della testimonianza», questo si deve alla sempre più massiccia e pervasiva presenza dei mezzi di comunicazione di massa che hanno affiancato, registrato e, talvolta, si sono posti al centro della vita politica e culturale delle società postmoderne. La tv è stata anche il luogo di dispiegamento – reale, simbolico o meramente retorico – dei fatti storici, che non possono sottrarsi all’occhio della pubblica visibilità.

Grazie alla tecnologia digitale, si può adesso garantire al patrimonio audiovisivo una vita lunga e rinnovabile. Non solo. L’utente può accedere ai depositi della memoria senza necessariamente doversi recare sul posto.

Entrando nelle scuole e nelle università, il patrimonio audiovisivo offre una nuova dimensione agli insegnamenti fondamentali. Per i ricercatori si rivela poi un notevole strumento di lavoro per comprendere come il digitale costituisca uno straordinario strumento di rappresentazione e di costruzione della memoria condivisa di una comunità, e un’incredibile opportunità di accrescimento della coscienza del passato e dei momenti fondativi su cui si sorregge una società. Nell’era della convergenza digitale, la PH non sembra essere più soltanto destinata ai classici luoghi della divulgazione o ai tradizionali mezzi di comunicazione di massa, ma si serve di uno spettro sempre più ampio di nuovi media fino a qualche anno fa quantitativamente e qualitativamente inimmaginabili, che forniscono al pubblico generalista, così come agli storici stessi, un archivio digitale di immagini e fonti storiche potenzialmente infinito.