Di scandali e catastrofi bancarie è ricca la storia della banca svizzera a partire almeno dal 1860. Nel caso della bancarotta classica la banca si lascia tentare da operazioni ad alto rischio, perde, e deve chiudere i battenti per crisi di liquidità. Quasi sempre la responsabilità della bancarotta viene attribuita, da un lato, a dirigenti poco responsabili e, dall’altro, a carenze nel sistema di controllo interno della banca. Come ci spiegano Luca Fasani e Francesco Lepori, in un «instant book», appena pubblicato da Casagrande, la trama dello scandalo BSI è diversa.
In primo luogo perché la decisione di chiudere non è stata presa dai dirigenti della BSI, o da quelli della banca che l’ha appena comperata, ma dalla FINMA, l’autorità che, in Svizzera, controlla l’andamento del settore bancario. In secondo luogo perché la BSI è una banca che, fino al 2015, anno più, anno meno, ha sempre realizzato un utile significativo. La BSI deve chiudere i suoi battenti entro la primavera dell’anno prossimo e scomparire dal mercato perché non ha rispettato le norme che impediscono il riciclaggio di denaro sporco.
Per gli autori di questo libro quella dello scandalo BSI è una storia che si può raccontare in quattro tempi. Si comincia con le «prime turbolenze». Dal 2008 in poi, il sistema bancario svizzero opera in condizioni difficili. La crisi bancaria internazionale ha lasciato segni negativi nel bilancio di tutte le banche. Lo smantellamento del segreto bancario, che è chiesto a viva voce da organizzazioni internazionali come da singoli Stati, limita le possibilità di sviluppo del settore. A questi due fattori si aggiungono in Ticino le conseguenze negative degli «scudi» con i quali il governo italiano cerca di far rientrare in Italia i capitali che l’avevano lasciata per ragioni fiscali.
Nel febbraio del 2009 la FINMA ordina all’UBS di consegnare alle autorità americane circa 250 nominativi di clienti. Questa decisione innesca una reazione a catena. I clienti americani lasciano UBS e cercano di approdare in altre banche svizzere, tra le quali anche BSI. La banca luganese continua ad accettare clienti americani fino nel febbraio del 2012. Questa sua ostinatezza le costerà, due anni più tardi, una multa di un paio di centinaia di milioni di dollari da parte delle autorità americane e, a partire dal 2013, un’attenzione particolare da parte della FINMA.
Il secondo momento è quello della vendita della banca luganese alla banca brasiliana, la BTG Pactual. Questa cessione può essere considerata come un esempio calzante della legge di Murphy che, come i lettori sanno, afferma che se qualcosa può andare male andrà di sicuro male. Il matrimonio con la banca brasiliana non dura infatti che pochi mesi perché, alla fine del 2015, BSI ritorna ad essere messa in vendita. Questa volta a comperarla – la notizia è del febbraio di quest’anno – è una banca di Zurigo, la EFG, il cui azionista di riferimento è la famiglia dell’armatore greco Latsis.
Quando sembra che le cose si stiano sistemando ecco arrivare, apparentemente a ciel sereno, il 24 maggio 2016, il fulmine con il quale la FINMA decide di annientare la banca per aver accettato di condurre operazioni di riciclaggio, a Singapore e a Lugano, in favore di un fondo statale malese, il famoso 1MDB, una sigla destinata a fare storia nella piazza finanziaria di Lugano. Questo è il terzo momento della storia recente della BSI ed è quello trattato più a fondo nel libro di Fasani e Lepori.
L’ultimo momento è quello che racconta i fatti degli ultimi mesi, in particolare in relazione alle decisioni della FINMA che vengono contestate dalla banca. Gli autori di questa storia tirano poi qualche conclusione sulla vicenda senza sbilanciarsi più di quel tanto. Nella sua prefazione Paolo Bernasconi accenna alla complessità dell’attività bancaria internazionale e si fa paladino di regole che dovrebbero servire ad impedire quello che è accaduto nel caso della BSI.
Basteranno nuove regole ad inibire gli appetiti dei bancari? La storia della banca svizzera, dal 1860 ad oggi, risponde che no. Banchieri che cedono alla tentazione di montare trappole per catturare maggiori utili ce ne sono sempre stati e, purtroppo, ce ne saranno sempre. Ricordiamo quello che scriveva Carlo Emilio Gadda, riferendosi al fallimento doloso di una banca di risparmio milanese: «Il cinico montaggio di quella trappola supera ancor oggi le possibilità del credere e dello scrivere: se non forse il cinismo degli imitatori e degli emuli». Può andar bene anche per lo scandalo 1MDB/BSI.