La scelta di Salvini rischia di essere lancinante come la scelta di Sophie, nel film con Meryl Streep. Salvare il governo o lasciarlo morire? La scadenza è il 20 luglio: dopo questa data, non ci sono più i tempi per votare a fine settembre, prima della legge di bilancio. E il presidente della Repubblica vuole, giustamente, che per l’inizio dell’autunno ci sia un governo nel pieno dei suoi poteri. Ma quale governo? Il nuovo esecutivo uscito da un eventuale voto anticipato? O l’attuale governo Conte?
Se dipendesse solo da Salvini, probabilmente la strana maggioranza Lega-Cinque Stelle andrebbe avanti a lungo. Il Capitano – soprannome inventato da Luca Morisi, il responsabile della sua formidabile macchina di propaganda online, e storpiato dai denigratori in Capitone – è convinto che non gli convenga cambiare lo schema di gioco che l’ha portato a prendere il 34 per cento dei voti alle Europee, e a salire ancora nei sondaggi. Ma il futuro del governo non è soltanto nelle mani di Salvini. Al di là delle illusioni sovraniste, l’Italia non è sola al mondo. L’Europa, la Merkel, i mercati internazionali, la globalizzazione possono non piacere; ma esistono.
L’Italia ha un debito pubblico enorme rispetto al peso della sua economia. Non cresce abbastanza per sostenerlo. Non può permettersi una seconda manovra elettorale, concepita per comprare consenso, dopo quella che l’anno scorso ha introdotto il reddito di cittadinanza e una folle riforma delle pensioni, che porta a spendere di più anziché di meno (come si fa in tutto il mondo). Per questo Salvini potrebbe essere costretto a far saltare il banco, pur di non prendere provvedimenti impopolari. E incassare così il vasto consenso di cui gode oggi.
La base tradizionale della Lega, compresi molti dirigenti ancora legati alla stagione bossiana e all’egemonia nordista, non vede di buon occhio il prolungamento dell’alleanza con i Cinque Stelle. I piccoli imprenditori lombardi e gli artigiani veneti non sono entusiasti di pagare il reddito di cittadinanza ai disoccupati – veri o falsi che siano – del Sud.
Ma anche molti militanti dei Cinque Stelle mordono il freno. L’alleanza con Salvini sta indebolendo il movimento. Beppe Grillo ha ancora un rapporto forte con Luigi Di Maio. Ma potrebbe presto battere un colpo per suggerire il ritorno all’opposizione.
Molto dipenderà anche dagli umori dell’elettorato. Il feeling dell’opinione pubblica con Salvini è sempre molto forte, e lui lo alimenta in modo spregiudicato, a volte spudorato. Mi ha colpito il tweet con cui ha commentato la scarcerazione di una donna rom che continua a derubare impunemente i passanti – da ultima una turista ottantenne su una sedia a rotelle – perché è sempre incinta (ha già fatto undici figli). Per l’esattezza il tweet di Salvini, sotto la foto della donna, diceva: «Questa maledetta ladra in carcere per trent’anni, messa in condizione di non avere più figli, e i suoi poveri bimbi dati in adozione a famiglie perbene. Punto». Ma questo non è il linguaggio di un ministro dell’Interno, leader del partito più votato del Paese.
È il linguaggio del capetto di un partitino di opposizione. Il ministro dell’Interno, non rinfocola l’odio popolare, oltretutto con quell’accenno al «non avere più figli»; promuove una riforma che impedisca l’uso odiosamente strumentale di una gravidanza per non finire in galera. È chiaro che Salvini intercetta un sentimento popolare che esiste, una sensazione largamente diffusa: che in Italia il colpevole la faccia quasi sempre franca; e che l’apparato giudiziario garantisca più il reo della vittima. Ma un politico responsabile si muove per incidere sulla realtà, per affrontare le questioni, per migliorare le cose. Non usa tutto a fini di propaganda. La settimana scorsa Salvini ha postato il video di un cane trascinato da un’auto, augurando terribili punizioni ai torturatori («ora mi auguro che la BESTIA “umana” che ha commesso questo crimine paghi fino in fondo»).
La «bestia» – in maiuscolo nell’originale – erano in realtà i proprietari del cane, disperati per la propria negligenza che ha causato l’incidente. Ma chi glielo spiega ai 40 mila follower che istigati dal capo hanno augurato loro la stessa fine del cane? Il meccanismo è tipico della rete: la star, in questo caso il politico, parla come noi, pensa come noi, è uno di noi. Così però si fa propaganda; non si governa un Paese.
In sintesi: Salvini si muove ancora come il capo dell’opposizione. L’attuale governo – con i ministeri economici e Palazzo Chigi in mano ad altri, il che significa poche responsabilità e ottime opportunità di dettare l’agenda della discussione pubblica – gli consente di farlo. Ma fino a quando potrà permetterselo?