Accappatoio in spugna bianco dell’hotel, scarpe in pelle da taglialegna del Massachusetts, parto così. Terapeutico all’istante è lo scricchiolìo soave dei passi nella neve fresca. Un minuto neanche di viaggio e incrocio le travi della passerella contro la roccia ideata da Tadashi Kawamata, artista giappo-nese classe 1953. Cammino un po’ più cauto, sulle assi innevate, ed ecco laggiù la piccola sauna a cielo aperto. Come quelle vere in riva ai laghi in Finlandia tra boschi di betulle. Una microcapanna, parte del progetto di Kawamata risalente al 1997 e intitolato Felsenbad. Coperto dalla neve, c’è infatti uno specchio d’acqua incastonato tra le rocce e incorniciato da una superficie di legno. Accanto alla sauna, in uno spogliatoio da battaglia stile riparo di fortuna, mi tolgo veloce le scarpe. Infilo la chiave e apro la prima porta, tiro verso di me la seconda ed entro, un pomeriggio del primo dei tre giorni della merla alle tre in punto, nella sauna dell’hotel Castell di Zuoz (1802 m). Hotel con sembianze da castello, come già dice il nome, costruito su una collina nel 1912 secondo i piani di Nicolaus Hartmann (1880-1956), architetto artefice tra l’altro del museo Segantini di St. Moritz e figlio d’arte. Nicolaus Hartmann Senior è l’architetto del glorioso Waldhaus di Vulpera sorto nel 1897 e bruciato sul finire degli anni ottanta. Una vampata di calore m’investe, appena rovescio una dose d’acqua, sulle pietre roventi. Rimetto a posto il mestolo nel tino colmo e respiro a fondo. Intercetto, seduto nella posizione del loto, un’essenza di agrumi, bergamotto credo. Dalla finestrella in alto si vedono, tra le cime dei larici, i fiocchi di neve. Quando la sabbia della clessidra indica che è passato un quarto d’ora, mi asciugo il sudore e mi rimetto l’accappatoio. A piedi nudi, adesso, dentro nella neve. Una catasta di legna è sistemata nella minibaracca-vestiario dove nove viti come appendiabiti sono infilate, di traverso, nel legno. Rudimentale eleganza che mostra tutta la diligente sprezzatura con la quale Kawamata ha costruito – un po’ come se tutte le assicelle fossero state portate lì a casaccio dal vento o si trattasse di un mikado all’incontrario – sei nidi sulla facciata del Pompidou a Parigi. Come pure le tre case sugli alberi nel Madison Square Park di New York o le favolose favelas in Belgio con legno di scarto. Il guscio in larice della sauna è anche opera di Kawamata, mentre l’interno matrimoniale standard, concepito in Finlandia da una ditta specializzata.
Torno nella mia temporanea dimora invernale, questo è il significato, a quanto pare, dell’antica parola finlandese sauna. E mi sdraio nudo in alta Engadina. È Ruedi Bechtler, dal 1996 proprietario del Castell assieme ai galleristi di grido Hauser & Wirth, a commissionare al prolifico artista nato a Hokkaido che vive a Parigi, quest’utilissima opera in situ. Figlio di Walter A. Bechtler (1905-1994), fondatore con il fratello Hans della Luwa – ditta zurighese di impianti di aerazione e riscaldamento che fece fortuna nella seconda guerra mondiale con rifugi antiaerei e filtri per maschere antigas – e noto collezionista d’arte. Gli altri due pezzi forti dell’hotel sono il Rote Bar di Pipilotti Rist e Gabrielle Hächler e la costruzione cilindrica di James Turrell con un foro circolare per il cielo chiamata Skyspace Piz Uter. Ma se percorrete corridoi e stanze varie, il Castell si rivela una vera galleria d’arte con opere di Fischli & Weiss, Carsten Höller, Roman Signer, eccetera. Discutibili alcune acquisizioni e di dubbio interesse altre, ma come si dice comunemente, sono gusti. Casomai, per una scelta forse più accurata e meno carnevalesca, visitate le due rinomate gallerie di Zuoz. Tschudi e Monica De Cardenas: già le due case cinquecentesche giù in paese, Chesa Madalena e Chesa Albertini, entrambe ristrutturate con classe estrema da Hans-Jörg Ruch, valgono da sole la pena. Tra l’altro sempre Ruch si è occupato del letto e il bagno in cembro per metà delle stanze di questo hotel stravagante in posizione da Kurhaus, tra le quali, meno male, la mia. Le altre sono di uno studio di Amsterdam che ha firmato anche l’hammam e i lussuosi appartamenti glaciali troppo vicini all’hotel.
Rinnovo il rito del vapore al bergamotto sprigionato dalle pietre incandescenti che per certi versi mi ricollega all’età del bronzo, periodo nel quale era già abitata questa collina mistica ora preda delle piste da sci. Neve in faccia, ne mangio perfino un po’, poi mi siedo davanti alla sauna. Lo sbalzo di temperatura, dai quasi novanta gradi ai diversi gradi sotto zero, inizia a risultare benefico. Nel bosco di larici si sente gorgogliare sommesso un torrentello mezzo coperto dalla neve. Lo chiamano Ova da Quatterlains che in romancio putér, il dialetto alto engadinese, significa acqua dei quattro legni. Dalla Val Boschetta all’En, noto anche come Eno o Inn – tributario destro del Danubio – dovrebbe dunque incontrare sul suo tragitto: larici, cembri, pini mughi, pecci. Di sicuro quest’acqua, penso ritornando per la terza volta nell’ormai sacrale sauna, è una promessa danubiana.