La rivoluzione dei cittadini in Ecuador

/ 27.11.2017
di Angelo Rossi

Sono appena tornato da un breve viaggio nell’Ecuador post-Correa. Che cosa si può dire oggi, da osservatore esterno, sulla rivoluzione dei cittadini, promossa da questo presidente, nel corso del decennio che ha passato al potere? Certo non ci sarebbe bisogno delle centinaia di cartelli pubblicitari, situati lungo le nuove arterie autostradali, per segnalarci che il paese è cambiato. Lo possono vedere tutti coloro che lo attraversano, in modo veloce e sicuro, approfittando di queste infrastrutture, costruite per l’appunto durante gli ultimi dieci anni, gli anni in cui Correa è stato al potere.

Per far risaltare l’importanza dell’opera compiuta varrà la pena di ricordare che l’Ecuador, come la Svizzera, è diviso in tre zone, la Costa, al livello dell’Oceano Pacifico che conta un po’ più della metà della popolazione ed ha, come grande città, Guayaquil con 4 milioni di abitanti. Viene poi la Sierra, che è la grande regione andina, situata tra i 2000 e i 4000 metri, che ospita il 40% della popolazione e la capitale del paese, Quito, con tre milioni di abitanti. Viene infine la Selva, la regione amazzonica, al di là della catena delle Ande nella quale abita circa il 5% della popolazione del paese.

L’Ecuador conta il doppio di abitanti della Svizzera, 16 milioni, su una superficie che è 6,7 volte maggiore di quella del nostro paese. La sua economia dà un prodotto interno lordo pari a 195 miliardi, ossia il 30% del Pil realizzato dall’economia svizzera. Questo significa che, nonostante il Pil pro-capite annuale superi gli 11’000 dollari, il paese conosce molte sacche di povertà. I poveri appartengono alla popolazione indigena, concentrata nella Sierra e nella Selva e alla popolazione ecuadoriana-africana, che si trova soprattutto nelle province della Costa. Vittima di una grave crisi economica negli anni Novanta, con tassi di inflazione che sfioravano il 100% annuo, il paese fu sottoposto dapprima a una cura di cavallo neoliberale che non sortì grandi effetti.

Per ristabilire un po’ di ordine a livello monetario, alla fine del secolo scorso, l’Ecuador adottò il dollaro come moneta di conto e di transazione rinunciando al Sucre che, fino ad allora era stata la sua divisa. La difficile situazione economica era accompagnata da una ancora più difficile situazione politica alla quale mise fine Rafael Correa, vincendo le elezioni per la presidenza del paese nel 2007. Il partito del presidente si chiamava «Alleanza paese» e conquistò la maggioranza anche in parlamento. Il nuovo presidente si mise al lavoro per realizzare quella che, in seguito, fu definita come la «rivoluzione dei cittadini». La stessa verteva su tre assi: migliorare le infrastrutture del traffico (viario, ferroviario, aereo); migliorare l’educazione di tutti i cittadini (costruendo soprattutto nuove scuole anche in zone periferiche); assicurare un reddito minimo a tutta la popolazione per consentirle di vivere in modo dignitoso senza dovere chiedere la carità.

Si può dire che questi tre obiettivi sono stati raggiunti. Non al 100%, naturalmente, ma in larga parte. Difficile dire in che misura i cittadini, e soprattutto quelli delle minoranze indigene, abbiano partecipato effettivamente alle trasformazioni messe in atto dal nuovo presidente. Dalle testimonianze che ho potuto raccogliere sembrerebbe però che un cambiamento sia avvenuto anche a livello individuale, per esempio, sarà cosa da poco ma che sempre conta, nel rispetto della proprietà pubblica e nella gestione delle immondizie. Qualche progresso si è fatto anche in materia di sicurezza.

Correa, che certamente avrebbe desiderato poter continuare nel suo mandato, ha dovuto lasciarlo all’inizio di quest’anno. E il suo successore, Lenin Moreno, si trova ora confrontato con grandi difficoltà. Da un lato perché il formidabile programma di investimenti di Correa non ha potuto essere finanziato senza un forte aumento del debito che ora deve essere in qualche modo gestito e, dall’altra, perché questo programma, purtroppo, ha foraggiato la corruzione anche nel partito del presidente. Uno scandalo che coinvolge il vice-presidente ha provocato una divisione in seno all’Alleanza paese che ne sta minacciando la governabilità. La rivoluzione dei cittadini ha certamente trasformato il paese. Ma l’onere del debito e la corruzione stanno mettendo in pericolo la sua continuità.