Con un attacco frontale alla libera circolazione delle persone, l’iniziativa lanciata dall’UDC e dall’Azione per una Svizzera neutrale e indipendente infine fa chiarezza: dovremo dire sì o no agli accordi bilaterali conclusi con l’Unione europea. Da questo deriverà un sì o un no alla Via bilaterale nella politica europea, rispettivamente ad un isolazionismo nel continente in cui viviamo.
Visto che nel dicembre del 2016 le Camere federali hanno votato una legge di applicazione che non rispetta i dettami dell’iniziativa del 9 febbraio 2014 contro l’immigrazione di massa, evitando contingenti e tetti massimi di lavoratori dall’UE, il fronte anti-europeista ha deciso che era tempo di sistemare la faccenda una volta per tutte. A parte l’ambiguità che resta nel nome – iniziativa popolare «per un’immigrazione moderata» –, il testo è molto chiaro: la libera circolazione deve essere abolita, il Consiglio federale ha tempo un anno per negoziare un accordo con la Commissione europea sulla sua abrogazione. Come nel caso dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa, esponenti dell’UDC si dicono certi che anche senza libera circolazione delle persone l’UE resti interessata a mantenere in vigore gli altri accordi. Ma questa è tattica elettorale: Bruxelles ha sempre ribadito che la libera circolazione non è negoziabile, rappresenta uno dei cardini del mercato unico europeo. Quindi, realisticamente in ballo c’è la libera circolazione delle persone e gli altri 6 accordi dei Bilaterali I: ostacoli tecnici al commercio, appalti pubblici, trasporti terrestri, trasporti aerei, agricoltura e ricerca.
Quasi superfluo aggiungere che le associazioni economiche, economiesuisse per prima, si oppongono all’iniziativa dell’UDC e dell’ASNI, e così fanno il Partito socialista, il PLR, il PPD, i Verdi e altri partiti minori. Ma non nascondono un senso di sollievo, poiché finalmente ci si avvicina ad un chiarimento nella politica europea, dopo i quattro anni di attesa e incertezze seguiti al 9 febbraio 2014. Potrebbe giocare a favore degli oppositori dell’iniziativa il fatto che dal 2014 l’immigrazione dai paesi dell’UE è calata da quasi 80mila persone a 53mila all’anno, il saldo migratorio è passato da quasi 60mila a 30mila. Ma per quale ragione? Da una parte il voto del 9 febbraio 2014 ha reso insicuri i lavoratori europei e le aziende svizzere, dall’altra la ripresa economica in atto in ampie zone dell’UE trattiene numerosi cervelli dall’emigrare. Tuttavia, non è possibile prevedere come fluttuerà l’immigrazione negli anni che ci separano dalla votazione (nel 2021 al più presto).
Ma salvare la Via bilaterale è solo metà dell’opera, l’altra metà è consolidarla. E qui non si sfugge ad un accordo quadro che faccia da solida cornice giuridica ai Bilaterali. Da tempo in Svizzera il dibattito si è avvitato attorno alla polemica sui giudici stranieri. Cioè sull’eventualità che in caso di disaccordo nel campo di uno degli accordi che concernono il mercato unico europeo sia la Corte di giustizia europea ad avere l’ultima parola. Come noto, prima di Natale, per fare pressione su Berna, la Commissione europea ha riconosciuto per un anno soltanto l’equivalenza della Borsa svizzera, in attesa di progressi sostanziali verso un accordo quadro. Ora però il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker propone anche una soluzione che viene incontro alla Svizzera (come aveva promesso a novembre): laddove non sia in discussione il diritto europeo, le vertenze fra Svizzera e UE verrebbero risolte da un tribunale arbitrale composto da un giudice europeo, uno svizzero e un terzo neutro scelto dalle due parti. Forse un avvicinamento rapido è possibile.