La nave dei folli

/ 02.07.2018
di Cesare Poppi

Come spesso succede in questi casi in principio era il ventre molle e profondo di una cultura popolare in uscita dal Medioevo che coniugava, annaspando nel nuovo che si intravvedeva all’orizzonte, arcaiche paure ed aspettative ancora sfuocate. Nessuno può dire quando quelle ombre presero corpo, per così dire, ma è probabile che alla radice di tutto vi sia stata la credenza, per quanto vaga, delle origini oltremarine della Peste Nera che fra il 1347 ed il 1352 si portò via un terzo della popolazione europea. Maturarono forse allora dicerie, mezze verità o semplici «sentito dire» presto diventati certezze e quindi paure e dunque ossessioni relative a quella che divenne famosa come la Stultifera Navis – la Nave dei Folli nelle fonti italiane, Narrenschiff in quelle tedesche, Ship of Fools per le fonti inglesi.

La sostanza della credenza si riferiva ad una nave carica di pazzi che vagava lungo i fiumi e le vie d’acqua interne al continente quando ancora il trasporto fluviale era di gran lunga più importante del pressoché inesistente trasporto via terra. Così come la peste, La Nave dei Folli colpiva senza preavviso attraccando nottetempo per poi scatenare il suo equipaggio in letali, contagiose scorribande nelle operose città mercantili del Nord Europa – e non solo. Erano, si badi, gli anni nei quali si guardava con fare inquisitorio ad ogni forma di diversità: così come gli ebrei e le streghe erano ritenuti primi responsabili della diffusione della Peste Nera, così l’idea di una pazzia contagiosa pronta a sovvertire l’ordine costituito serpeggiava fra taverne e mercati pronta a venire a galla – per così dire – in occasionali, improvvise esplosioni di panico tanto virali quanto effimere. Come spesso accade per quelle vox populi destinate a diventare pregiudiziali paure, le credenze relative alla Stultifera Navis avevano una fonte fattuale nelle politiche di salute pubblica – per così chiamarle – praticate dalle autorità nei confronti della follia patologica.

Come ricordava Michel Foucault nell’indimenticata Storia della Follia nell’Età Classica, spesso i «matti» erano catturati e messi su battelli fluviali che li avrebbero trasportati in altre città e quivi abbandonati al loro destino. Così toccò ad un folle che girava nudo per la città di Francoforte nel 1399. Qualche anno dopo la stessa sorte toccò ad un pazzo criminale a Magonza. Spesso questi passeggeri scomodi venivano buttati a terra prima della destinazione pattuita (quando non venissero – possiamo aggiungere – gettati in acqua senza tante cerimonie). Come quel fabbro di Francoforte, pazzo sì ma non abbastanza da non riuscire a tornare per ben due volte, prima di essere definitivamente confinato a Kreuznach. Ma, come altrettanto spesso accade, la credenza popolare non era totalmente figlia di se stessa né frutto di mera ignoranza. L’idea di una Nave dei Folli compare nelle fonti letterarie per la prima volta nella Repubblica di Platone (487b-497a). In questo passaggio Socrate discute la metafora di un equipaggio incompetente ed indisciplinato che cerca di sottrarre il comando ad un capitano bolso e poco esperto. Da veri populisti – direbbero alcuni di noi oggi – gli ammutinati credono che per rimediare all’inefficacia del comandante basti prendere il controllo del timone – laddove il pilota esperto e prudente che prova a far notare come la nave si governi facendo anzitutto attenzione ai venti ed alle correnti, agli astri ed alle stagioni, viene trattato come un sognatore con la testa fra le nuvole e messo da parte.

Con la pubblicazione nel 1494 dell’opera Stultifera Navis da parte di Sebastian Brandt, la metafora della Nave dei Folli acquista una vis polemica che accompagnerà la riflessione sulla Follia per tutta l’Età Moderna. Il giovane Brandt, docente all’Università di Basilea, pubblica il suo capolavoro in occasione del famoso Carnevale di Basilea. In settemila versi narra il viaggio disastroso, grottesco e demenziale di una nave carica di folli – che per il Medioevo sono sinonimo dei peccatori – che navigano allo sbaraglio nel periodo che precede la Quaresima, metafora di punizione eterna se non preceduta dal pentimento. L’opera di Brandt diventerà il modello retorico per tutta una serie di opere – dall’Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam a Rabelais col suo Gargantua et Pantagruel e tanti altri – laddove la Follia diviene, paradossalmente, da un lato capro espiatorio e dall’altro specchio della verità di un mondo – quello sì – ormai impazzito e reso ingovernabile dai «pazzi veri» che pretendono al contrario di agire in nome della Ragione.

Da Shakespeare a Bachtin, ecco allora che la Stultifera Navis dei giullari e dei buffoni – che minaccia ad ogni marea favorevole di attraccare al primo porto d’approdo – diviene invece misura di Ragione. Così come, paradossalmente, ricerche recenti delle Università di Ferrara e di Oslo certificano che i 25 milioni di morti della Peste Nera non siano dovuti alle pulci portate dai ratti dall’Oriente ma ai nostranissimi pidocchi che parassitavano gli uomini – ebrei, streghe, pazzi o normalissimi cristiani che fossero. Tutti assieme, senza sconti per nessuno. Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti etc…