Sabato 15 luglio è stata una giornata di lutto per la comunità scientifica internazionale. A soli 40 anni si è spenta Maryam Mirzakhani. La matematica iraniana è stata la prima e unica donna ad aggiudicarsi, nel 2014, la medaglia Fields, un riconoscimento considerato alla stregua di un Nobel della matematica che premia ricercatori under 40. La genialità sconfitta da un tumore.
Della vicenda umana e professionale di Maryam Mirzakhani si sono occupati i media di tutto il mondo, raccontando soprattutto la biografia di questa giovane professoressa di Stanford perché, ammettiamolo, pochi giornalisti saprebbero spiegare su cosa vertevano le sue ricerche: la dinamica e la geometria delle superfici di Riemann e dei loro spazi di moduli. La sua tesi di dottorato ad Harvard le era già valsa la stima dei colleghi, la sua prima cattedra era stata a Princeton, poi a Stanford. Si era laureata a Teheran, a 17 anni aveva vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi internazionali di matematica di Hong Kong. Eppure l’amore per la matematica era nato tardi, durante l’ultimo anno delle scuole superiori (insomma in quarta liceo), glielo aveva in qualche modo «suggerito» suo fratello maggiore come lei stessa ha raccontato in un’intervista. Prima sognava di diventare scrittrice. Amava la letteratura e i libri, ma il suo futuro era nei numeri. Il destino l’aveva favorita, come raccontava, perché aveva finito le scuole elementari nel momento in cui giungeva al termine la guerra tra Iran e Iraq, una circostanza che le aveva permesso di continuare gli studi in tranquillità e di frequentare buoni istituti. Noi crediamo solo fino ad un certo punto nella buona sorte, un successo femminile in un ambito ancora tanto maschile deve essere coltivato da una motivazione, da un ingegno e da un contesto particolarmente favorevoli. L’ingegno, certo, rimane l’incognita di questo puzzle, il resto non dovrebbe essere lasciato al caso, come invece avviene ancora troppo spesso. La famiglia di Maryam Mirzakhani l’aveva sostenuta, i suoi genitori avevano incoraggiato tutti i figli a seguire le proprie passioni senza preconcetti di sorta, senza credere in precoci predisposizioni, impossibili recuperi o vecchi stereotipi. Inoltre lei stessa ha raccontato che la sua scuola a Teheran era diretta da una donna forte convinta che a maschi e femmine dovessero essere offerte le stesse opportunità di studio. Questo puzzle oggi noi, in Ticino e in Svizzera, siamo capaci di comporlo? Siamo sicuri di essere guidati come adulti, genitori, educatori e politici dagli stessi ideali? Siamo sicuri di essere all’altezza dell’ingegno delle nostre bambine? Offriamo loro un futuro libero da stereotipi? La realtà è che nel nostro sistema formativo continuiamo a registrare una presenza femminile troppo bassa negli ambiti tecnici, a tutti i livelli, e che più è elevato il grado scolastico, minore è la quota di donne in seno al corpo insegnante.
La vita breve di Maryam Mirzakhani non può che suscitare ammirazione ma soprattutto dovrebbe essere di ispirazione. Con il suo lavoro è stata la migliore ambasciatrice per le ragazze interessate a un percorso di studi scientifici. E come spesso capita alle vite straordinarie il loro splendore fa vacillare tabù e barriere ritenute insormontabili. Anche dopo la morte: negli scorsi giorni molti giornali iraniani hanno pubblicato la sua fotografia e il capo, eccezionalmente, era mostrato senza velo. Capelli corti, occhi limpidi. Occhi di donna, matematica, moglie, madre.