La Germania e la questione islamica

/ 30.04.2018
di Peter Schiesser

Non portate la kippah in pubblico, nelle grandi città tedesche. Il consiglio è di Josef Schuster, presidente del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi, all’indomani dell’aggressione di due giovani israeliani da parte di alcuni giovani musulmani nel quartiere in di Berlino, Prenzlauer Berg, il 17 aprile. Un’aggressione che ne segue altre, sempre a sfondo razzista, che vedono come protagonisti giovani arabi, profughi recentemente immigrati. La Germania, oltre all’antisemitismo connaturato ad un’ideologia di estrema destra, tuttora presente nel paese come in altri paesi europei, è ora costretta a confrontarsi con un nuovo tipo di antisemitismo: quello di origine musulmana, che dopo l’arrivo di oltre un milione di migranti nell’estate del 2015, in prevalenza dalla Siria, si rende sempre più manifesto.

Sia chiaro: l’antisemitismo di estrema destra resta preponderante (e responsabile del 93 per cento di violenze contro cittadini di origine ebraica in Germania nel 2017), ma l’antisemitismo di importazione e di origine musulmana è diventato un tema caldo, che si innesta nel più ampio dibattito sul «posto» che l’islam deve/può occupare nella società tedesca. Ed è un tema che non riguarda soltanto gli arabi recentemente immigrati, coinvolge anche e soprattutto le organizzazioni islamiche che lo Stato tedesco considera come unici interlocutori nei rapporti con le comunità musulmane.

Non tutti (ma probabilmente non pochi) la pensano come il ministro degli interni Horst Seehofer, ossia che l’islam è una religione che non appartiene alla Germania, altri concordano con la cancelliera Angela Merkel secondo cui in Germania c’è posto anche per la religione dei musulmani. Ma il dibattito è perlopiù viziato da pregiudizi e tabù. Se a destra prevalgono i pregiudizi verso l’islam, a sinistra e in gran parte dei media prevale una linea «garantista», che tollera atteggiamenti illiberali adducendo giustificazioni culturali in nome di un anti-razzismo di maniera. Questo però impedisce di vedere il crescente influsso delle organizzazioni islamiche e dei loro imam sui credenti musulmani in Germania.

Esponenti politici borghesi ma anche musulmani liberal hanno messo il dito sulla piaga: le quattro federazioni islamiche in Germania sono finanziate e dirette dall’estero (Turchia, Arabia Saudita, Qatar, Iran) per influenzare i fedeli in senso integralista. In particolare la federazione di moschee turche Ditib è molto attiva nel trasmettere messaggi fondamentalisti, in accordo con le posizioni del governo turco. Il dialogo dello Stato tedesco con la cosiddetta «Conferenza islamica» viene giudicato una farsa: le voci musulmane critiche sono state escluse, lo Stato tedesco accetta di dialogare unicamente con le federazioni ufficiali, nella fallace speranza che buone relazioni con gli islamisti light evitino una maggiore radicalizzazione dei fedeli.

Bassam Tibi, professore emerito di relazioni internazionali all’università di Göttingen, ha pubblicato un libro sull’immigrazione islamica in Germania e le sue conseguenze. Secondo lui, solo il 10 per cento dei musulmani è davvero integrato in Germania, il 90 per cento vive in realtà/società parallele. Fintanto che l’integrazione è vissuta solo come atto burocratico questa frattura resterà profonda e genererà pure antisemitismo; un’integrazione vera passa dalla condivisione dei valori delle società liberali: «Sono cresciuto a Damasco dove l’antisemitismo era connaturale, a Colonia sono stato rieducato», afferma Bassam Tibi (NZZ, 5.4.2018). Guardare in faccia alla realtà, dare ascolto alle voci liberali dell’islam è il primo passo verso una politica che miri ad una vera integrazione dell’islam in Europa.