La forza dei grillini

/ 10.04.2017
di Aldo Cazzullo

Il governo italiano è sorretto dall’unica forza della sua fragilità. Troppo debole anche solo per cadere, Paolo Gentiloni va avanti in attesa degli eventi: le primarie del Pd, il G-7 di Taormina. E la nuova legge elettorale, che ricorda molto la tela di Penelope: si disfa di notte il lavoro che viene fatto di giorno, perché le elezioni non le vuole nessuno. In particolare i centristi che sostengono la maggioranza e Berlusconi che non fa molto per indebolirla temono come la peste qualsiasi elemento maggioritario, che finirebbe in questo momento per favorire il partito più forte, secondo tutti i sondaggi: i grillini.

Matteo Renzi è uscito bene dalle primarie tra gli iscritti del partito democratico. Ha vinto con un margine più largo del previsto: circa il 67 per cento, più del doppio di Andrea Orlando, quasi dieci volte tanto Michele Emiliano. Le primarie popolari, indette per il 30 aprile (strana data, in mezzo al ponte più lungo dell’anno, momento tradizionale per gli italiani di gite e vacanze: non proprio il massimo per favorire la partecipazione), confermeranno il verdetto. Paradossalmente però una forte affluenza potrebbe indebolire Renzi, anziché rafforzarlo. Questo perché il leader Pd, che in un primo tempo era considerato nel partito un intruso, oggi è più forte nel partito che nel Paese. Un paradosso per l’uomo che doveva portare la sinistra italiana oltre le colonne d’Ercole del 30 per cento, giocare la partita a tutto campo, andare a prendere i voti degli indecisi, di Berlusconi, di Grillo: obiettivo fallito, come ha decretato il referendum costituzionale del dicembre scorso.

Se si votasse oggi, il presidente della Repubblica Mattarella non potrebbe far altro che dare l’incarico di formare il nuovo governo a un esponente indicato dal Movimento Cinque stelle: forse Luigi Di Maio, forse la sindaca di Torino Chiara Appendino. Ed è possibile che le altre due forze sovraniste, anti-euro e anti-immigrazione, la Lega di Matteo Salvini e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, accettino di far nascere un governo grillino, anche senza entrare a farne parte. Per questo Berlusconi, i centristi e una buona parte del Pd non hanno tutta questa fretta di andare a votare. Attendono che Grillo si sgonfi. Ma rischia di essere un’attesa vana. Neppure la palese incapacità della Raggi di fare il sindaco di Roma sembra danneggiare l’ascesa dei populisti. Anche perché la situazione economica, nonostante qualche segno di ripresa, non è tale da incoraggiare l’ottimismo e il sostegno al governo, qualunque sia.

Gentiloni guarda già al dopo elezioni: se il Pd non sfonda (e non sfonderà) ma limita i danni, potrebbe essere ancora lui l’uomo dell’accordo con Berlusconi. L’alternativa potrebbe essere l’unica novità dell’attuale esecutivo: il ministro dell’Interno Marco Minniti. 

A maggior ragione se la linea di frattura sarà ancora la sicurezza (in Italia in questi giorni non si parla che di rapine e di violenze), collegata nella percezione popolare con due altre grandi questioni: il terrorismo islamico, e l’immigrazione fuori controllo. Sempre nell’attesa dei risultati delle presidenziali in Francia, che potrebbero segnare un’altra sconfitta del populismo dopo quella olandese.