La «formula» che non ti aspetti

/ 11.11.2019
di Orazio Martinetti

Lenta, macchinosa, grigia, prevedibile. Sono aggettivi che accompagnano spesso la politica elvetica. Vista da fuori appare avvolta in mille lacci. Ma osservata dall’interno mostra un’altra dimensione, quella di un cammino che deve fare i conti con delicati equilibri, pesi e contrappesi, esigenze della maggioranza e rivendicazioni delle minoranze.

Quest’anno cadono due anniversari: i cento anni dall’introduzione del sistema proporzionale per l’elezione del Consiglio nazionale (o camera bassa) e i sessant’anni della «formula magica», varata nel 1959. Due tappe fondamentali, che hanno permesso di correggere la rotta prima che la motonave «Helvetia» finisse rovinosamente sugli scogli.

Vale la pena di ricordare che il «Freisinn», la grande famiglia liberale – secondo la definizione del padre della politologia svizzera, Erich Gruner – esercitò un’egemonia pressoché totale nei diversi consessi nazionali per decenni. E questo a partire dal 1848 (l’anno in cui vide la luce il moderno Stato federativo): nel Consiglio nazionale resse incontrastata fino alle elezioni del 1919; nel Consiglio degli Stati (o camera alta) fino al 1925; nel Consiglio federale (l’esecutivo centrale) fino al 1943. Dunque quasi un secolo di predominio del «Freisinn», formazione che solo dopo la Grande Guerra iniziò a cedere potere ai rivali cattolico-conservatori e in seguito agli agrari. Le elezioni del 1919, tenutesi con un anno di anticipo sulla scadenza naturale della legislatura (allora triennale), terremotarono le rappresentanze: i radicali persero d’un colpo 45 seggi (da 105 a 60), mentre i socialisti ne guadagnarono 19 (da 22 a 41). Stabile rimase la deputazione conservatrice (meno 1 seggio, da 42 a 41 ), mentre il neo-gruppo che raccoglieva i contadini, gli artigiani e i borghesi – una costola del movimento liberale – incamerò 29 seggi. Era il pregio della meccanica proporzionale: finalmente il parlamento rispecchiava le forze in campo (ma con l’effetto collaterale di moltiplicare e frammentare gli schieramenti).

Anche la «formula magica» scaturì da una logica di tipo proporzionale: la necessità di riservare un posto nell’esecutivo ai principali attori operanti sulla scena all’indomani della seconda guerra mondiale. Il laboratorio chimico che la produsse, diretto dal segretario dei conservatori Martin Rosenberg, assegnò due poltrone ai liberali, due ai democratici cristiani, due ai socialisti e uno agli esponenti degli agrari e del ceto medio (futura UdC). Nasceva così la «democrazia della concordanza», o regime consociativo, a rappresentare pressoché l’80 per cento dei cittadini votanti (allora solo maschi). Poteva funzionare un simile grande abbraccio fra destra, sinistra e centro? I malumori non mancarono, e nemmeno le trame notturne e i colpi di scena. Ne fecero le spese soprattutto i socialisti nel 1983 e nel 1993: in entrambe le occasioni, le due candidate ufficiali al governo (Lilian Uchtenhagen e Christiane Brunner) non ottennero i voti richiesti. Si levarono proteste, s’indissero congressi straordinari per valutare se valesse la pena stare o no nell’esecutivo accanto a colleghi che palesemente non rispettavano le regole. Fatto sta che tutto rientrò fino al 2003, anno in cui l’UdC di Blocher mise sul piatto la sua rapida ascesa strappando al PPD il secondo seggio.

Specchio di un’epoca in cui i partiti ancora contavano nella società elvetica, la formula magica sta per entrare, dopo sessant’anni di onorato servizio, in una fase «liquida», come l’elettorato che indirettamente l’ha espressa e sostenuta. Gli schemi solidi che fino a ieri sorreggevano e giustificavano il senso di appartenenza ad un determinato partito (la tradizione familiare, le ideologie strutturate in visioni del mondo, il senso civico) si sono dissolti nell’aria; a loro sono subentrati stati d’animo negativi, quali l’indifferenza e la sfiducia, rivoli di umor nero che alla fine sono sfociati in un crescente astensionismo.

Non sarà facile, nei prossimi anni, tenere in vita la formula magica. Già ora i Verdi reclamano un riesame delle parti che la compongono; nel mirino potrebbe finire il membro del collegio italofono, ossia Ignazio Cassis. Ironia della sorte: escogitata per includere le minoranze, seppur con ritmi discontinui, la nuova formula finirebbe per attizzare, da parte del Ticino, l’ira contro gli ambientalisti, visti ora come nemici della terza Svizzera.