La forma della Ssr

/ 12.03.2018
di Ovidio Biffi

Lo so, arrivo con l’ultimo treno, dopo tante e sante dette o scritte sulla votazione No Billag. Certo, e non solo per nostalgia, mi sarebbe piaciuto fare cronaca, dire come i risultati mi sono giunti, subito dopo il caffè del pranzo, già belli chiari, senza nemmeno una di quelle quotidiane ragnatele (dai sondaggi in giù) che hanno annebbiato il dibattito della votazione sin dall’autunno. Mi sarebbe anche piaciuto scherzare sul fatto che per mettere in scena il pomeriggio del 4 marzo qualche genio della programmazione abbia deciso di condecorare lo «Speciale votazioni» con i telefilm di Colombo (alla faccia di chi si lamenta per le repliche e le domeniche soporifere). O magari spendere qualche riga sull’esitazione (c’era? Effetto subliminale?) del collega Ceschi al momento di indicare le tabelle per i risultati della votazione: invece di nominare il rosso, con un fulmineo «politically correct» ha optato per il «colore usato dalla nostra grafica». 

Ma queste cose sono ormai scadute, scivolate nel passato remoto politico e televisivo se non nel tritaquotidianità mediatico. Perciò rinuncio alla mia criticabilissima e anche scontata (che volete farci: il legno storto...) vena censoria e mi limito a parlare di «effetti collaterali» del voto del 4 marzo ripescando qualche tema tra quelli rimasti a torto sempre un po’ in sospeso, senza approfondimenti, durante la lunghissima campagna per la votazione. Inizio da una affermazione udita e letta spesso nelle ultime settimane: «Anche se l’iniziativa sarà respinta, la Ssr non sarà più la stessa». Era uno degli appigli più gettonati nelle dichiarazioni di chi voleva respingere l’iniziativa No Billag, una sorta di moderno accenno a votare No alla Billag «turandosi il naso», ben lontano dalla intelligente interpretazione data da Indro Montanelli, comunque utile per sbiadire l’impegno dichiarato, e in qualche caso anche per premunirsi da sorprese o smentite. A bocce ferme, dopo aver contributo nel corso del dibattito a consolidare la consapevolezza che la Ssr (vale a dire tutto il suo corpaccione, compresa quindi anche la nostra Rsi) dovrà mutare pelle, quella prefigurazione rimane fine a se stessa, nel senso che ora sarà difficile dargli un seguito ed evitare che diventi una scomoda eredità. Eppure qualche segnale di cambiamento «in fieri» c’era già stato, anche se mai del tutto privo di sospetti e dubbi sulle reali finalità.

Come l’annuncio della riduzione del canone per inizio 2019 (la retroattività non si addice ai... canoni della Confederazione), risultata un’abile mossa per indebolire la testa d’ariete degli antagonisti. Oppure, ultimo esempio in ordine di tempo, l’annuncio che in futuro «la Ssr dovrà collaborare con tutti i media». Peccato che anche questo rimedio abbia una nuvola nera sulla testa: è giunto dopo il «placet» federale all’intesa della Ssr con l’editore Ringier e il service provider Swisscom per un futuro polo mediatico pubblicitario. Proprio alla vigilia del voto ci ha messo una pezza il Nazionale ammettendo che la sopravvivenza della stampa scritta (dall’agenzia di stampa nazionale in sciopero ai piccoli editori e ai giornali regionali che boccheggiano) merita di rientrare tra le finalità del servizio pubblico. Ma sarà difficile che l’esito del voto del 4 marzo basti a spianare la via a un impegno (ufficialmente mai dichiarato) per una riforma che dia forza anche a quanto stabilisce l’articolo costituzionale al paragrafo 4: «Devono essere considerati la situazione e i compiti di altri mezzi di comunicazione sociale, soprattutto della stampa». Personalmente considero questo paragrafo uno dei punti fermi attorno ai quali autorità politiche ed esperti dovranno muoversi se vorranno approdare a moderni aggiustamenti e riforme del servizio pubblico, magari chiedendo subito che la Ssr abbandoni la strategia del «If you can’t beat them, join them», soprattutto se si pensa al potere che i tre partner della citata joint venture Ssr, Swisscom e Ringier avranno rispetto alla concorrenza nei tre pilastri dei futuri mezzi di comunicazione.

Mi fermo a questi «effetti collaterali», per aggiungere che la parola più appropriata da affiggere come «post it» sull’esito questa votazione, mi sembra quella richiamata dal presidente della Corsi Luigi Pedrazzini a vittoria accertata ai microfoni della Rsi: «Responsabilità». È un viatico sicuro, perché a doppia valenza: può funzionare da cartina di tornasole come il 4 marzo per valutare e non lasciar cadere gli aggiustamenti dell’ente e del servizio pubblico; e dovrà risultare dominante nell’attività di dirigenti e operatori per riuscire a onorare le aspettative (soprattutto nella Svizzera italiana) di chi ha sostenuto il servizio pubblico radiotelevisivo, prima ancora del carrozzone della Rsi.