Benoît Hamon non pensava che sarebbe stato il candidato del Partito socialista francese all’Eliseo, «nessuno lo ha visto arrivare perché nemmeno lui credeva di arrivare», ha detto un deputato parlando di lui con «L’Obs». Era sempre stato un funzionario di secondo rango, Hamon, con un istinto di ribellione che i suoi amici fanno risalire al divorzio dei suoi genitori, quando aveva 12 anni, e all’iscrizione a un liceo cattolico che doveva essere un invito alla disciplina e che si è trasformato in un ulteriore motivo di rivolta. Il «frondeur»: così è chiamato dentro al Partito, e Hamon è fiero di essere ostinato, ispirato a uno scontro di classe che persegue fin da quando era giovane. Soltanto che ora, di fronte alla candidatura all’Eliseo, Hamon è stato chiamato a mostrare altre doti, basta con le rivolte e uniamoci tutti fortissimo. E come forse era immaginabile, la missione per ora non gli è riuscita.
Dopo aver vinto le primarie, Hamon ha cercato di parlare a tutta la base di sinistra, ma fin da subito l’ala più moderata non ha accolto il suo appello: la frattura con il centro era già di per sé inevitabile, a causa del profilo molto radicale della carriera di Hamon. L’emorragia ha favorito il candidato outsider, quell’Emmanuel Macron che, senza partito e senza passato, si è posizionato al centro dello spettro politico e ha cercato di approfittare delle debolezze della sinistra e della destra. Da settimane si rincorrevano le voci di un possibile endorsement per Macron da parte dei ministri del governo socialista – quello della Difesa, l’influente Jean-Yves Le Drian, è arrivato per primo giovedì scorso. Propenso ad appoggiare Macron sembra anche lo stesso presidente, François Hollande, descritto nei retroscena molto deluso e molto nervoso per l’andamento della campagna elettorale dei socialisti. Manuel Valls, ex premier e principale sfidante di Hamon alle primarie, ha già spiegato perché non voterà Hamon – non ha dato il suo sostegno a Macron, ma il messaggio al proprio partito è stato netto.
Se Hamon non ha saputo contenere il drenaggio di voti al centro, non è nemmeno riuscito a convincere il leader alla sua sinistra, l’istrionico Jean-Luc Mélenchon, a un’alleanza. Al dibattito televisivo della settimana scorsa – il primo organizzato con i cinque candidati posizionati meglio nei sondaggi – è risultato evidente che la mancata alleanza tra il Ps e il partito di Mélenchon, France insoumise, ha radici più personali che ideologiche. A parte la questione russa, che monta molto a causa dell’ultimo scandalo in cui è stato coinvolto il candidato gollista François Fillon e che divide i due leader della sinistra, c’è una sostanziale vicinanza di idee e di ispirazioni. Ma nonostante il corteggiamento di Hamon, le telefonate, gli incontri fissati e rimandati, le indiscrezioni sprezzanti filtrate, Mélenchon non ha ceduto, e ha preferito spaccare il fronte della sinistra piuttosto che dargli una chance elettorale più concreta. Hamon viaggia attorno al 15 per cento dei sondaggi, Mélenchon all’11: insieme avrebbero potuto insidiare i big, Macron e l’ineffabile frontista Marine Le Pen, ma hanno deciso di non farlo, condannandosi alla possibilità di non partecipare al ballottaggio del 7 maggio prossimo. Il clima dalle parti dei socialisti è così mesto che i giornali parlano già di un piano di Hamon per il dopo presidenziali che si fonda sulla consapevolezza di una sconfitta.
L’elettorato di sinistra si tormenta sull’ipotesi di un voto utile: se Hamon non ce la fa, per il bene del Paese e per contrastare l’ascesa dei frontisti, conviene votare Macron già dal primo turno. Per molti però si tratta di un passo doloroso: l’ex ministro dell’Economia è percepito come un ultracapitalista poco attento ai valori della sinistra, un traditore poco coraggioso che è uscito dal gruppo senza provare a farsi piacere lì dentro. Come facciamo a votarlo?, dicono sospirando molti elettori, pur sapendo che le alternative non sono molte. Se patto repubblicano deve essere al 7 maggio, contro Marine Le Pen, portiamoci avanti adesso, suggeriscono alcuni, senza alcuna allegria. E mentre si leggono ormai ovunque necrologi sulla sinistra francese, il rimpianto cresce. Questa elezione è un’occasione mancata: una candidatura della destra debole come quella di Fillon è difficilmente ripetibile. Il leader dei Républicains non riesce a uscire dallo scandalo legato agli stipendi parlamentari di sua moglie e dei suoi figli – anzi, la sua posizione s’aggrava: c’è anche l’accusa di truffa – e intanto è già finito in altri due: vestiti costosissimi e soprattutto metodi poco chiari per ottenere visibilità presso la corte russa di Putin, che in un modo o in un altro finirà per avere un ruolo anche nelle elezioni francesi.