Giorgio è un bambino di nove anni perfettamente bilingue. In pizzeria, una sera d’estate, si parla di scuole e università, interviene: «I wan’t go to the college, I’ll go to the divanege». Da grande niente college, voglio starmene sul divano! A poche ore di distanza, in treno di ritorno dal mare, una mamma orgogliosa del suo bimbo di dieci anni parla in sua presenza col vicino: «Andrà in quinta elementare, poi le medie, il liceo, magari scientifico che è bravo in matematica, e poi fisica, no ingegneria». Il piccolo Albert: «Io voglio andare solo sul divano».
Il comune interesse di Giorgio e Albert per il mobile più comodo della casa (e meglio posizionato, di solito di fronte a un televisore) credo che sia un ottimo incipit per la seconda puntata della Postilla sulla felicità umana in vacanza. Due settimane fa avevamo filosofeggiato su quanto sia difficile raggiungere quello che sembrerebbe il più ovvio e banale scopo delle vacanze, ossia essere felice come quei bellissimi giovani che reclamizzano creme, telefoni, gelati, e anche resort e villaggi. Ora, i due bambini sembrano avere idee chiarissime: la felicità massima per loro si raggiunge oziando sul divano, e questo sperano di poter fare per il resto dei loro giorni, beatamente ignari di come la vita, la società, la famiglia, insomma tanti e tante, chiederanno loro di fare, e ancora fare e strafare, felici o no poco importa.
Noi siamo invece più consapevoli di come trascorrano le giornate degli adulti, quindi cercando almeno nelle vacanze un po’ di felicità siamo stati spinti a chiederci che cosa sia la felicità, in vacanza o meno, e non ci sono state di grande aiuto le risposte dei primi filosofi interpellati: felicità è contemplare le idee, soprattutto l’idea del bene, secondo Platone; felicità è pensare a ciò che più di tutto è degno di esser pensato, ovvero il pensiero che pensa se stesso. Per fortuna l’autore di questo scioglilingua, Aristotele, aggiunge poi che senza amici, salute e un minimo di benessere la felicità appare ben ardua da raggiungere. C’è chi poi ha detto che felicità è non provare niente, così da evitare al massimo le sofferenze. Certo, cari Epicurei e Stoici, a prezzo però di enorme fatica, di perdersi le emozioni belle e positive, di rimanere isolati e senza affetti né amori, e allora di quale felicità staremmo parlando? Quale vacanza potrà mai contribuire alla nostra felicità, se non potremo godere di nessuno dei suoi benefici, innanzitutto quello di stare in compagnia delle persone cui siamo legati da liberi legami? Che fare allora?
Forse il segreto della felicità è proprio nei lacci d’amore. Montaigne però ci mette in guardia. Scrive nei suoi Saggi che il fuoco dell’amore è «cieco e volubile, ondeggiante e vario, fuoco di febbre, soggetto ad accessi e pause». Un ben cattivo padrone. Meglio, per il filosofo francese, l’amore d’amicizia, «un calore generale e totale, del resto temperato e uguale, un calore costante e calmo, tutto dolcezza e nitore, che non ha nulla di aspro e di pungente». Questa è una buona compagnia, che riporta alle «correzioni» di Aristotele, e ci spinge a dire che probabilmente sì, stare con gli amici allieta la vita e la vacanza. Abbiamo trovato un primo ingrediente della felicità. Per il secondo, torniamo ai due bambini. Non basta l’istintiva ricerca della comodità per spiegare tale attaccamento per i cuscini e la posizione spaparanzata in due coetanei nel pieno delle forze e distanti chilometri l’uno dall’altro. I bambini non volevano tutti diventare astronauti, Superman, l’Uomo Ragno? Non c’è nulla di eroico e attraente in salotto, davanti alla televisione. E non possiamo neanche parlare di eccessiva esposizione mediatica, Giorgio ha il permesso di usare l’i-pad per trenta minuti al giorno, Albert ci ha un po’ giocherellato senza passione in viaggio. Spostiamo lo sguardo, andiamo alle madri. La mamma di Giorgio gli sta facendo studiare una terza lingua, praticare un paio di sport, frequentare una scuola a tempo pieno, non italiana. La mamma di Albert, per trovare quello a lui più adatto, gli ha fatto provare una decina di sport: tennis, calcio, nuoto, pallavolo, pallacanestro… Questi due bambini, in pieno agosto quindi in piena vacanza, sono stanchissimi. Estate e inverno devono imparare, dimostrare, avanzare. Come vorrebbero invece non rendere conto a nessuno, non faticare, farsi i propri comodi così, per farseli. Interessante, tolto quel briciolo di pigrizia ed egoismo che accompagna gli umani – e che nei bambini è ancora ben visibile, nessuna ipocrisia è capace di occultarlo –, tolto quello appare ancora una volta il valore di un’opera gratuita. Poltrire senza scopo sembra rendere felici i due piccoli.
Così come amare non per «desiderio forsennato di ciò che ci sfugge» (ancora Montaigne), con lo scopo dunque di esaudirlo e calmarlo, questo è l’amore di amicizia, che è gratuito, senza altri fini che non siano riconoscersi nell’amico come «un altro se stesso» e tuttavia non lo stesso. Che gratuità davvero possa non limitarsi a far rima con felicità?