La fede nel Dio-Bio

/ 12.11.2018
di Bruno Gambarotta

La fede in Bio è la nuova religione del nostro tempo: Bio è in mare, in cielo, in terra e soprattutto nei nostri cuori. I riti della nuova religione sono celebrati negli empori dove si vendono prodotti Bio. Lì si aggirano le vestali del Bio indossando sottane lunghe, i loro visi non conoscono l’onta del trucco, dei capelli tinti e meno che mai quella del chirurgo plastico; di tanto in tanto sostano per leggere i testi sacri, qui rappresentati dalla lista degli ingredienti, lunghissima e scritta in caratteri minuscoli. Talvolta sono assalite dai dubbi e telefonano alle amiche: «Qui dice che può contenere tracce di glutine, soia, sesamo e lupino. Cosa mi consigli, lo prendo ugualmente? Non c’è il rischio che mi faccia male?».

Nei prodotti a base di farine non si trova la parola «lievito», ma «agenti lievitanti» tutt’altra cosa. Scoprire che questi agenti sono composti da carbonato di sodio e carbonato di ammonio, ci rassicura. Se proprio lo si deve denunciare, allora deve essere «lievito madre», con la precisazione «l’impasto riposa 24 ore». Si fa presto a dire farina, bisogna distinguere: farina di frumento, di riso, farro o kamut? Mi piacerebbe bendare un esperto, fargli assaggiare quattro pani confezionati con queste farine e vedere se riesce a distinguerle. Magari, con mio scorno, ce la fa. Le informazioni non ci bastano mai, vorremmo saperne sempre di più: la pasta è «trafilata al bronzo», ma da dove proviene questo bronzo? Perché la confezione indica il paese di coltivazione del grano e tace sul paese della molitura? Punto di forza sono le uova, prodotte da galline felici, «allevate a terra». Già, ma quale terra?

Saremmo più tranquilli se conoscessimo, sia pure con una certa approssimazione, la composizione chimica di questa terra destinata ad accogliere le uova. Sappiamo che quando escono dalla sede Bio delle galline e planano a terra, una rete di sensori fa partire l’Inno alla Gioia. La maggiore rassicurazione prodotta dalle informazioni stampate sulle confezioni è indotta non tanto dall’elenco dei componenti quanto dall’assenza di certi altri: «senza lattosio, senza glutine, senza olio di palma, senza zucchero, senza burro, senza solfiti, senza sale, ecc. ecc.». Per ogni «senza» aumenta il prezzo del relativo prodotto, si vede che eliminare questi componenti ha un costo. L’indicazione che apre al fedele le porte del paradiso Bio è: «Anti ossidante». Trovarla sull’etichetta fa spalancare sorrisi, non ho mai osato chiedere cosa significa.

Dalla massa dei praticanti la religione del Bio si distacca un’aristocrazia ancora più rigorosa nel suo stile di vita: sono i vegani, che allontanano da sé tutto quello che ha origine animale, compresi gli indumenti, le scarpe, i medicinali. Non li invidio, fanno una vita d’inferno, nella vita quotidiana ci scappa sempre qualcosa di origine animale, dalla colla di pesce per fare la gelatina, al portafoglio in pelle che ti regala la zia per il tuo compleanno, al pennello per dare la tinta. Fra gli scaffali si aggirano anche le «mamme Bio», con i bambini dentro il carrello ma, a differenza dei bambini strillanti che scorrazzano nei centri commerciali, i figli delle mamme Bio sono silenziosi ed educati.

E i mariti? Ci sono anche loro, spingono il carrello ma seguono le mogli a qualche metro di distanza, vergognandosi, sperando di passare inosservati, di non incontrare un collega. Se, sbucando da una fila di scaffali, incrociano un altro marito scambiano con lui uno sguardo eloquente, è come se si comunicassero l’un l’altro: anche tu ci sei cascato? In quello sguardo c’è anche una sorta di consolazione: non sono solo. C’è in tutto questo, una placida rassegnazione, un dolce abbandono al fato.

Nell’emporio Bio siamo tutti più buoni, più gentili, nessuno alza la voce, nelle file alle casse è tutto un «prego, passi prima lei». L’emporio del Bio dovrebbe attrezzarsi per ospitare le assemblee di condominio, sarebbe un affare per tutti. C’è anche la specie del «maschio Bio fin dalla prima ora», è magro, ascetico, con jeans sdruciti, gli infradito d’estate e gli zoccoli d’inverno, i capelli lunghi raccolti a coda di cavallo. Lo spauracchio del Bio, il suo Angelo Nero è «la data di scadenza»: guai a sorpassarla. I prodotti che stanno per scadere guadagnano l’etichetta «In Offerta», con sconti consistenti e sono accumulati nell’angolo delle offerte, un po’ nascosto. Se pensiamo di consumarli subito li compriamo, perché no? Nel caso del tonno e delle acciughe in scatola, arrivo alla perversione di mangiarli dopo che sono scaduti perché sono molto più gustosi. Non fatelo sapere alle vestali del Bio, sarebbero capaci di scomunicarmi.

Lo confesso: poco per volta anch’io sono diventato cultore della fede in Bio e da allora non ho mai più avuto problemi legati alla nutrizione. Però non posso più tornare indietro: la volta in cui mi sono concesso del salame non bio mi sono subito ricoperto di macchioline rosse.