Col solito ritardo di due anni sono state pubblicate, dall’Ufficio Federale di Statistica, lo scorso mese, le stime sulla crescita del Prodotto interno lordo dei Cantoni nel 2017. Per il Ticino, come per la Svizzera, il tasso di variazione del Pil reale (cioè ai prezzi dell’anno precedente), nel corso dell’anno appena indicato, è stato negativo. In Svizzera, l’indicatore della prestazione complessiva dell’economia, è diminuito, nel 2017, del 2,7% . In Ticino la diminuzione è stata più contenuta: il Pil reale è diminuito solo del 2,4%. Era dal 2009, ossia dall’inizio della serie di stime dei Pil cantonali, che non si registrava una recessione. Se le stime dovessero essere confermate, si tratterebbe, per il Ticino, di una recessione della stessa ampiezza di quella che ha fatto seguito alla crisi bancaria internazionale.
Approfondiamo un po’ il confronto tra l’andamento congiunturale dell’economia ticinese e di quella nazionale. Come abbiamo già rilevato in altri articoli di questa rubrica, il periodo che ha seguito la crisi bancaria internazionale, ossia gli anni dal 2010 a oggi, ha visto svilupparsi un fenomeno nuovo per l’esperienza di crescita della nostra economia cantonale. Dal 2010 al 2016, anni di espansione del ciclo congiunturale, la stessa è cresciuta (fatta eccezione del 2011) a tassi superiori a quelli medi svizzeri, mentre, negli anni di contrazione (il primo e l’ultimo del periodo considerato), ha conosciuto recessioni più contenute di quelle medie nazionali. Questo significa che, con i fattori di produzione di cui disponeva, l’economia ticinese, in questo periodo, ha sempre ottenuto risultati migliori, in termini di variazione del Pil reale, di quelli conseguiti dall’economia svizzera nel suo complesso. Sempre che, naturalmente, le statistiche e le stime sulle quali si basa il nostro ragionamento siano fondate. Questo risultato deve essere considerato come eccezionale in quanto, nel corso del periodo analizzato, l’economia ticinese ha quasi certamente perso in materia di produttività, e quindi di competitività, rispetto all’economia nazionale.
Come si spiega questa performance? La differenza nei tassi di variazione del Pil reale, che, nel corso degli ultimi nove anni, ha separato l’economia ticinese da quella svizzera è dovuta, in buona parte, all’enorme crescita del contingente di frontalieri occupato in Ticino. La crescita dell’occupazione, dovuta quasi esclusivamente all’aumento dell’effettivo dei frontalieri, è addirittura riuscita a compensare la perdita in termini di crescita del Pil provocata dalla diminuzione della produttività del lavoro. In questi ultimi dieci anni sono stati quindi i frontalieri a far crescere l’economia del Cantone più rapidamente di quella svizzera, Nel medesimo tempo questo effettivo di lavoratori, residenti all’estero, non ha sostituito la manodopera residente. Il tasso di disoccupazione infatti, nel corso degli ultimi dieci anni, non ha fatto che diminuire, scendendo dal 4,9% a un valore attorno al 3%. Solamente nel biennio 2012-2013 c’è stato un lieve aumento della quota dei disoccupati. Dal 2014 in poi, però, la stessa ha ripreso a diminuire. Questo significa, lo ripetiamo, che l’aumento dell’effettivo dei frontalieri, nel medio termine, non si fa a detrimento dei lavoratori residenti. Anzi le cifre disponibili suggeriscono che i frontalieri, probabilmente hanno un effetto positivo non solo sulla crescita del prodotto interno lordo, ma anche su quella dell’occupazione complessiva.
Queste valutazioni positive, sugli effetti economici della crescita dell’effettivo di frontalieri devono però essere temperate, in conclusione, da due osservazioni. La prima concerne la strada che l’economia ticinese sembra aver preso dopo il ridimensionamento del settore bancario-finanziario. È la strada tradizionale delle attività basata sulla forza lavoro, a buon mercato, che danno esiti inferiori alla media in termini di variazione della produttività e quindi potrebbero minare seriamente, nel lungo termine, la posizione concorrenziale dell’economia nostrana. L’altra osservazione concerne la relazione tra crescita dell’effettivo di frontalieri e variazione della quota di disoccupati. Finora (periodo 2009-2017) non si è registrato un impatto significativo tra queste due grandezze. Questo però non esclude che in futuro il frontalierato possa diventare un sostituto della manodopera residente. Soprattutto se, in seguito all’estendersi della digitalizzazione e della robotizzazione, la domanda complessiva di manodopera dovesse contrarsi.