Lo chiamano «Mexican stand off», lo stallo alla messicana, ognuno ha la pistola puntata contro qualcun altro, si aspetta la prima mossa, chi sopravviverà non si sa, e c’è un’alta possibilità che non si salvi nessuno. È l’ultima, istrionica e brutale rappresentazione della Brexit, ne parlano i commentatori e il magazine «NewStatesman» la mette in copertina: Theresa May, la premier, ha un pesce (sarà uno di quei famosi merluzzi che con la Brexit non si troverà più e addio fish and chips?)nella mano destra puntato contro un falco della Brexit e un pesce nella mano sinistra puntato contro il leader del Labour, Jeremy Corbyn, che in posa da James Bond di fatto si difende e basta: la sua tattica è quella di far ammazzare tutti gli altri, rimanere lui l’ultimo vivo, fare nuove elezioni, vincerle e poi rinegoziare la Brexit (non si sa come, non lo sa nemmeno lui). Gli altri duellanti hanno in mano una banana e una brioche, sembra una battaglia di bambini monelli, e volendo essere leggeri la situazione è un po’ questa, una gang di ragazzini col volto colorato di nero, come gli amici di Peter Pan, non fosse che la Brexit è purtroppo una cosa da grandi.
Anzi, proprio questo approccio mezzo comico e mezzo giocoso ha fatto sì che il divorzio del secolo si trasformasse in una farsa, in una somma di favole e leggende e numeri inventati che ha compromesso il negoziato e le aspettative degli inglesi. Al punto che si gira a vuoto ormai da settimane, mentre il Parlamento si prepara a votare il 15 gennaio l’accordo siglato dalla May assieme ai 27 paesi dell’Unione europea e non c’è ancora – non c’è mai stata – una maggioranza, qualsivoglia maggioranza: non c’è per il deal May, non c’è per il no deal (ipotesi catastrofica che tutti, tranne i gilet gialli versione indipendentista che stazionano fuori da Westminster, vogliono scongiurare) e non c’è nemmeno per il secondo referendum, la speranza cui si appigliano gli anti Brexit, fatta eccezione per il solito Corbyn.
Come andrà a finire? È la domanda che tutti fanno da tanto tempo, ma una risposta non c’è. Può accadere ogni cosa, anche la più improbabile, e questo aumenta l’isteria collettiva: la May non ha i numeri per il suo deal, sta facendo ogni opera di convinzione possibile e piano piano racimola consensi (chissà quanto le costeranno, ma adesso non ci si può occupare anche dei ricatti futuri), ma sembrano ancora insufficienti. Il Parlamento le sta rendendo la vita più difficile, ha votato un emendamento – in mezzo a urla degne di una banda di monelli, non fosse che quella è la stanza degli adulti più adulti del Regno – che le impone, a deal bocciato, tre giorni per presentare un piano B. In questa via alternativa compaiono elementi che sono stati già discussi ampiamente – il modello norvegese, il confine nordirlandese, per citare i più noti – e che fanno drizzare i capelli in testa agli europei: valicano le linee rosse dell’Ue, significa ricominciare da zero o giù di lì.
E il tempo non c’è: la May dice che il 29 marzo ci sarà la Brexit, lo ripete minacciosa per riportare ordine tra i suoi. È un ultimatum: o il mio accordo o il no deal, non ci sono altre chance, basta credere alle favole. Ma il miglior accordo possibile che il Regno Unito potesse negoziare non piace né ai falchi brexiteers né ai remainers, che vogliono esercitare il diritto al ripensamento e non si capacitano del fatto che, dopo tanto discutere, ancora non sia chiaro a tutti che il problema della Brexit è la Brexit stessa. Mentre Corbyn insiste soltanto sulle nuove elezioni, alcuni laburisti parlano con i conservatori moderati per trovare una strada comune: visto che i leader si puntano addosso dei pesci, cerchiamo noi una soluzione. Ma le sfumature sono talmente tante e i micronegoziati talmente laboriosi che inventarsi una via di uscita è ormai uno spettacolo circense.
Come andrà a finire? Non si sa, e il peggio è che molti elettori non sanno nemmeno più cosa augurarsi. Hanno guardato in massa il film sulla Brexit di cui tutti discutono – litigando – da settimane, The Uncivil War, la guerra incivile, e hanno scoperto che lo slogan perfetto dei brexitari, «take back control», riprendiamoci il controllo, è stato ispirato da un manuale sulla paternità. Era una roba da adulti, insomma, da padri che ci tengono ai loro bambini, ed è finita in una sparatoria con i pesci in cui, davvero, non si salva nessuno.