Un giornalista, non avendo niente di meglio da fare, va in giro a chiedere agli amici: qual è il tuo rapporto con la Bibbia? Ecco la mia risposta. Fin da piccolo ho sempre vissuto la Bibbia come un fantasma incombente. Mio padre tipografo mi aveva regalato, comprandola a rate, L’Enciclopedia del Ragazzo Italiano della Utet. In tre diversi volumi, degli otto che la componevano, compariva una classifica, prima di cento, poi di duecento e infine di cinquecento titoli di opere. Non ricordo le parole che accompagnavano le classifiche ma in sostanza dicevano: questi sono i libri imperdibili per farsi una cultura degna di questo nome. Tutte e tre le classifiche iniziavano con la Bibbia. Ogni volta ho preso la rincorsa e ho iniziato dalla seconda in classifica che, se non ricordo male, era l’Iliade di Omero. Ma, sia chiaro, non sono mai arrivato in fondo. È nato su quegli elenchi il mio odio inscalfibile per l’aggettivo «imperdibile». Ma torniamo alla Bibbia e al motivo per cui ho letto finora un solo libro dei tanti (81?) che la compongono. Si è trattato di un avvicinamento laterale.
Sono nato ad Asti e nella ridente cittadina piemontese ho frequentato le scuole elementari e le medie. Anche Vittorio Alfieri è nato ad Asti, un po’ prima di me (1749). Ogni anno avevano luogo le Celebrazioni Alfieriane, in coincidenza del genetliaco del Trageda, culminanti nell’allestimento, al teatro Alfieri, di una delle sue tragedie. Nei tre anni delle medie la mia classe è stata accompagnata, camminando in fila per due lungo il corso Alfieri, sfilando prima davanti al palazzo Alfieri dove era collocata la biblioteca civica Vittorio Alfieri e poi davanti al liceo ginnasio Alfieri, ad assistere alla recita della tragedia di Alfieri prescelta in quell’occasione. Storie lontane, versi aspri, martellanti, capaci di contenere cinque battute in un solo endecasillabo, interpreti in costumi antichi, con il peplo o la corazza, il gonnellino a pieghe, i calzari attorno a gambe adorne di vene varicose. Un impatto brutale che avrebbe potuto generare un rigetto totale verso ogni genere di impresa culturale. Invece no, per alcuni di noi è stato uno choc salutare, tale da inocularci l’idea che la strada per accedere all’alta cultura non è una passeggiata ma una scalata faticosa lungo sentieri che si affacciano sul baratro, impresa però in grado di regalare grandi soddisfazioni. Da quegli anni lontani la mia amicizia per Vittorio non è mai venuta meno e così l’interesse per il suo lavoro. Delle sue diciannove tragedie, una sola trae il soggetto dalla Bibbia, tutte le altre derivano dalla classicità greca e romana. Ma quella sola, il Saul, la quattordicesima, è da tutti considerata il suo capolavoro, per un autore che mai, in nessuna circostanza, ha manifestato interesse per la sfera religiosa dell’animo umano. Ecco perché, venendo per una volta meno ai miei principi, ho preso in mano la Bibbia. Ho letto solo il primo libro di Samuele, che narra una storia feroce, dove il sangue scorre a fiumi, con un dio capriccioso e vendicativo e il protagonista di una vera tragedia, Saul, che si suicida per non finire prigioniero in mano ai Filistei. Tutto ha inizio quando gli Israeliti chiedono a Samuele «un re che ci governi, come avviene per tutti i popoli». Cosa ve ne fate di un re? è la risposta, voi avete già Dio dalla vostra parte, siete il suo popolo prediletto. Loro insistono e Samuele cede. Obbedendo al Signore, unge Saul nominandolo re d’Israele. Noi diremmo a sua insaputa, poiché Saul non aveva mai posto la sua candidatura. L’inizio è l’avventura di un ragazzo che, uscito di casa accompagnato da un servo per rintracciare delle asine che si erano smarrite, quattro giorni dopo fa ritorno a casa consacrato re d’Israele, tenuto all’oscuro del fatto che al Signore dispiaceva che coloro diventati suoi sudditi sentissero il bisogno di essere governati da un re.
Saul tuttavia si mette all’opera, riorganizza l’esercito, vince uno dopo l’altro i nemici di Israele. Ma commette l’errore di non ubbidire ciecamente agli ordini del Signore che gli arrivano tramite Samuele. Risparmia con un gesto di umanità il suo nemico re Agag, solo per sentirsi dire che, per non averlo sterminato insieme a tutto il suo popolo, ha frodato di un sacrificio la feroce divinità di Samuele che gli fa credere che Dio l’ha deposto, nominando Davide. Avete presente chi è Davide? Ha tutte le virtù, suona divinamente la cetra, sconfigge Golia, fa innamorare di sé i figli di Saul, Micol che lo sposerà e Gionata che arriva a tradire il padre per lui. Saul si avvolge in una micidiale rete di tentativi falliti per liberarsi di Davide, fino a rivolgersi al mago di Endor per farsi predire il futuro. È la fine. Anche Shakespeare deve aver letto il libro di Samuele quando scrive il Macbeth. Ditemi: voi che, a differenza di me, l’avete letta: è tutta così la Bibbia, una cornucopia di storie meravigliose?