Kneschaurek, superconsulente e futurologo

/ 27.03.2017
di Angelo Rossi

E così se ne è andato anche il Cecch, come lo chiamavano, affettuosamente, i suoi studenti. Francesco Kneschaurek, professore di economia all’università di S. Gallo, è spirato, dopo breve malattia, una decina di giorni fa. Era l’ultimo sopravvissuto della triade di professori di economia ticinesi, nati negli anni Trenta dello scorso secolo, e diplomati della Scuola cantonale di commercio di Bellinzona. Ed era anche il più conosciuto, almeno in Svizzera, anche se, a differenza degli altri due, Luigi Solari e Piero Balestra, non aveva mai ricoperto la carica di presidente dell’associazione degli economisti svizzeri.

Dal 1960 al 1990, aveva insegnato a più generazioni di economisti ticinesi, a molti dei quali, con le sue raccomandazioni, aveva poi anche facilitato la carriera. Terminati gli studi a S. Gallo, era stato dapprima consulente di una conosciuta ditta sciaffusana e poi aveva soggiornato negli Stati Uniti. Al suo rientro in Svizzera era stato nominato professore e aveva così cominciato la sua carriera di insegnante e di ricercatore. Si può dire che i temi principali della ricerca del prof. Kneschaurek sono stati due: la previsione di lungo termine e la politica strutturale. Kneschaurek è stato uno dei primi studiosi in Svizzera ad occuparsi di previsioni macroeconomiche. Non delle previsioni annuali sull’andamento del prodotto nazionale diventate così comuni oggi. No, Kneschaurek si è occupato delle estrapolazioni delle tendenze di lungo termine, ossia di quello che avrebbe potuto succedere nei prossimi venti o trent’anni.

Utilizzava per far questo un approccio neoclassico, basato sul concetto di output potenziale. Questo concetto corrisponde alla produzione massima che un’economia può realizzare con un dato effettivo di lavoratori, una data tecnologia e un dato livello dei prezzi. Partendo da stime dell’evoluzione della popolazione e della popolazione attiva, da un lato, e della produttività per lavoratore, dall’altro, Kneschaurek calcolò la crescita nel lungo termine del reddito sociale di un’economia, un aggregato che equivale all’odierno prodotto nazionale netto. Stimò anche l’evoluzione storica di questo aggregato, dall’Ottocento alla metà del Novecento, come pure il modo nel quale si era sviluppato nelle economie cantonali.

Dal 1968 al 1973 occupò il posto di delegato del Consiglio federale per la prospettiva economica. Era allora, si può dire, il principe dei consulenti del settore pubblico. Per il governo federale produsse una serie di studi sulla crescita probabile della popolazione e dell’economia e sulle conseguenze che le stesse avrebbero potuto avere sugli investimenti pubblici nell’infrastruttura. È in relazione a questi studi, in particolare in relazione ai risultati di una variante di previsione per l’evoluzione demografica, da lui formulata per le concezioni nazionali per l’evoluzione degli insediamenti dell’istituto ORL del Politecnico federale, che nacque l’equivoco della Svizzera con 10 milioni di abitanti nell’anno 2000 e che gettò purtroppo molto discredito sulle previsioni di lungo termine. Di fatto, un paio di anni dopo, nel suo rapporto del 1974, Kneschaurek avanzò per il 2000 una previsione di popolazione di 7-7,1 milioni, vicinissima a quella che sarebbe stata rilevata dal censimento federale del 2000 (7,2 milioni). Ma molti si ostinarono a considerarlo come il padre della previsione di 10 milioni, ritenendolo addirittura in parte responsabile per gli investimenti eccessivi nell’infrastruttura fatti, in quegli anni, da molti comuni.

Aggiungo infine che, sempre nel campo della prospettiva, a Kneschaurek e ai suoi collaboratori si deve anche la fondazione della Società svizzera di futurologia e del Centro di S. Gallo per la ricerca sul futuro. La politica strutturale costituì il secondo tema fondamentale della sua ricerca. Da noi, Kneschaurek fu il primo economista ad occuparsi in modo approfondito dei problemi legati alle modifiche strutturali che ingenerava il processo di rapida crescita economica, manifestatosi a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. La finalità maggiore dei suoi studi in questo campo era di avvertire le autorità politiche di ogni livello che la rapida crescita creava insufficienze e colli di bottiglia in molti domini dell’infrastruttura. Lo Stato avrebbe quindi dovuto investire nella costruzione di case e appartamenti necessari per albergare il crescere rapido degli effettivi della popolazione residente, nella rete stradale per dar sfogo alla fiumana di veicoli che la stava invadendo, nella produzione di energia per evitare che il paese dipendesse troppo dall’estero per il suo approvvigionamento e nella formazione dei giovani per far fronte alla crescente richiesta di lavoratori con alte qualifiche.

Anche il suo famoso rapporto su Stato e sviluppo dell’economia ticinese, pubblicato nel 1964, può essere iscritto tra le sue analisi di politica strutturale. Questo rapporto è, come molti altri scritti dal maggior esperto della prospettiva economica che la Svizzera abbia mai avuto, una testimonianza di come, nel trentennio di forte crescita che ha seguito la seconda guerra mondiale, economisti e politici erano convinti di aver trovato finalmente il modo di eliminare le disparità territoriali e assicurare a tutte le regioni il medesimo livello di benessere.