Italiani grandi comici

/ 28.01.2019
di Bruno Gambarotta

3 gennaio 1954: nasce la televisione italiana, poche ore al giorno in bianco e nero. Regista di quella prima storica giornata è il giovane Vito Molinari che ora, alla soglia dei 90 anni, rievoca nel libro I miei grandi comici, Gremese editore, i suoi incontri ravvicinati con i massimi rappresentanti di una specie in via di estinzione, conosciuti e diretti fra rivista, operetta, cabaret, pubblicità e soprattutto televisione. Memorie preziose per conoscere i retroscena della comicità televisiva, in sessanta anni di lotte contro la censura.

Scrive Molinari: «Il vero comico è cattivo, irride alla bontà, ai buoni sentimenti, sa che il pubblico riderà in modo liberatorio di una cattiva azione che avrebbe forse voluto compiere ma di cui non sarebbe stato capace. Il comico aggredisce, corrode, disgrega. Perciò è sempre stato temuto, sospettato, controllato, contrastato, perseguitato dai poteri forti, specie quello politico e quello religioso. Così è nata la censura». Un episodio che fece molto rumore è legato al programma di varietà Un due tre con Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, che eccellevano nelle parodie degli altri programmi televisivi.

Nel 1959 sono al sesto anno di vita quando va in onda al telegiornale una diretta dal teatro alla Scala, per le celebrazioni del centenario della seconda guerra d’indipendenza: i due presidenti della repubblica di Francia e Italia sono in piedi nel palco reale mentre l’orchestra suona i rispettivi inni nazionali. Al termine fanno l’atto di sedersi, mentre il presidente del senato italiano Cesare Merzagora, nel lodevole intento di agevolare la manovra dell’italiano, sposta all’indietro la sedia di Giovanni Gronchi che crolla a terra scomparendo dietro la balaustra vista la sua modesta altezza, mentre Charles De Gaulle, dall’alto osserva la scena. Nella puntata successiva di Un due tre, i due comici, per «L’angolo della posta» si fanno trovare in piedi dietro al tavolo e fanno l’atto di sedersi. Vianello, alto come il francese, sposta indietro la sedia e Tognazzi capitombola a terra, scomparendo dietro il tavolo. Impassibile, si rivolge a Tognazzi: «Chi ti credi di essere?». E Ugo, da terra: «Può capitare a chiunque».

La direzione non era stata informata, si scatenò l’inferno e al termine della stagione il programma non fu più confermato nonostante avesse raggiunto il vertice degli ascolti. Gli ostacoli maggiori Vito Molinari li ha avuti lavorando con Paolo Poli, un artista «raffinato, colto, dissacrante, sempre contro le mode correnti». Nel 1970 registrano negli studi di Torino della Rai Babau, testi di Paolo Poli e Ida Omboni, teso a smontare alcuni tabù, il mammismo, l’arrivismo, l’intellettualismo, il conformismo. Oltre che interpretarle, Poli presenta le puntate in vesti ogni volta diverse, vampiro, diavolo, angelo, alieno con fior di ospiti, fra cui Umberto Eco e Fabrizio De Andrè. Una volta montate, il direttore dei programmi visiona le quattro puntate e decide di congelarle in magazzino.

Ci rimarranno per sei anni, per essere programmate nel 1976, in piena estate. Paolo Poli diceva: «L’Italia abbonda di formidabili comici. Sappiamo vendere il niente, siamo sempre andati in giro a raccontare Arlecchino e Pulcinella. Siamo come i preti, viviamo sulle chiacchiere».

A proposito di questo artista, ho anch’io un episodio da raccontare. Negli anni ’70 lavorando in viale Mazzini, con Vittorio Sermonti mettiamo a punto una proposta a basso costo che prevedeva la conduzione di Poli. Lo contattiamo, ci riceve a casa sua, si dimostra entusiasta del progetto e ci regala un sacco di idee. Era basato sui nomi che i genitori imponevano ai neonati dopo che era venuta meno la consuetudine di darli riferendosi a un famigliare o a una santa o a un santo protettore. Era esplosa la moda dei divi, dei calciatori, dei cantanti, dei personaggi dei telefilm. Elaborando i dati dei censimenti si poteva dimostrare che c’erano state ondate che si ripetevano nel tempo.

Nel dopoguerra c’era stata la moda di Rita, in seguito alla popolarità di Rita Hayworth e una di queste Rite era stata la cantante Rita Pavone, classe 1945. Diventata famosa la Pavone, grazie a lei era riesplosa la moda di quel nome. Ricordo di essermi trovato un giorno, con altri quattro Bruno miei coetanei. Per puro caso, era anche il nome di un figlio di Mussolini. Ottenuto l’assenso di Paolo Poli, con Sermonti siamo andati a esporre il progetto al direttore dei programmi di varietà. Non capiva: «Fatemi un esempio». Vittorio: «Quando Tyrone Power e Linda Christian si sono sposati a Roma nella chiesa di Santa Francesca Romana c’è stato il boom di bambine battezzate con quel nome». Il direttore, risentito e offeso: «Vi posso garantire che quando con mia moglie abbiamo deciso di chiamare nostra figlia Francesca Romana non l’abbiamo fatto per seguire una moda». In quel preciso momento il programma ha esalato l’ultimo respiro.