Italia, sarà la svolta buona?

/ 11.06.2018
di Peter Schiesser

Dopo il Ventennio mussoliniano, l’abbondante quarantennio democristiano, il ventennio berlusconiano, con Giuseppe di Maio, Matteo Salvini e Giuseppe Conte l’Italia vara il primo auto-dichiarato governo populista. Gli elettori non si erano in realtà espressi per una simile coalizione, ma con il sistema elettorale che si sono voluti tenere, bocciando il 4 dicembre 2016 la riforma voluta da Renzi, questa alleanza fra la Lega di Salvini e il Movimento 5 stelle incarnato oggi dal 31enne Giuseppe di Maio è l’unica che ha trovato i numeri per cominciare a governare. Governerà? Quanto a lungo?

Se oggi vede la luce questo primo governo populista nell’Europa occidentale, lo si deve allo sfascio che nella politica italiana perdura da un trentennio, cioè dal crepuscolo dell’alleanza fra democristiani e socialisti di Bettino Craxi che le inchieste di «Mani Pulite» della procura di Milano hanno infine sbriciolato, passando per la lunga era berlusconiana, contraddistinta da un persistente picconaggio delle istituzioni, una altrettanto diffusa corruzione, una progressiva messa in discussione della legalità e soprattutto un imbarbarimento del dibattito politico. Lega e 5 Stelle sono soltanto una logica conseguenza di una situazione incancrenita, in cui quel che resta dei partiti storici rappresenta il vecchio e improponibile sistema politico. Il già unto-del-signore Silvio Berlusconi e il rottamatore di una sinistra tradizionale Matteo Renzi sono anch’essi ormai percepiti come l’espressione di un sistema fallimentare. 

Il problema è che il triumvirato Conte-Salvini-Di Maio approda ora a Palazzo Chigi con un programma che è tutto fuorché tranquillizzante, per l’Italia e per l’Europa. Perché fra reddito di cittadinanza e sgravi fiscali prevede di appesantire lo stratosferico debito pubblico di ulteriori 120 miliardi di euro all’anno (di cui i contribuenti italiani dovranno pagare gli interessi, e cara grazia che i tassi sono ancora bassi),  perché un giorno sì e un giorno no accarezza l’idea di uscire dall’euro, perché strizza l’occhio alla Russia di Putin, perché Salvini fa la voce grossa minacciando di espellere centinaia di migliaia di immigrati clandestini al motto di «è finita la pacchia». 

Beninteso: l’Italia ha bisogno di una seria riforma fiscale e di un rilancio del Meridione, poiché il carico fiscale è eccessivo e al sud c’è ancora troppa povertà e sottosviluppo. Ma le misure proposte da Lega e 5 Stelle non affrontano i problemi alla radice: manca una spinta decisa per una cultura della legalità che spezzi il circolo di una diffusa evasione fiscale e corruzione; come resta assente un piano per investimenti nel Meridione. Finora Lega e 5 Stelle hanno saputo solo cavalcare la rabbia popolare e far leva su conflitti e avversioni. Possono davvero essere loro a stimolare nuovamente le forze creative e costruttive rimaste troppo a lungo sopite? Solitamente, i populismi ricavano il consenso canalizzando le frustrazioni popolari e la voglia di riscatto contro avversari e capri espiatori. Questi oggi sono gli immigrati e l’Unione europea, come pure la «vecchia» politica. 

In mezzo a tante incognite, l’alleanza di leghisti e pentastellari dovrà ora mostrare sul campo che cosa sa fare per ridare slancio all’Italia. Per ottenere una rinascita del Belpaese, però, oltre a un governo capace, serve una presa di coscienza della società civile intera, per debellare corruzione, mafie, privilegi di pochi, e parallelamente per ricreare uno spirito di ottimismo nelle proprie capacità e soprattutto un’identificazione con il benessere collettivo. Dopo decenni di pessimismo e di contrapposizioni, eredità del berlusconismo, è una sfida epocale, per il governo e per l’Italia tutta.