A proposito di Libri, di Saloni e di Feste. Sono arrivate da ogni parte troupe televisive per documentare un fenomeno unico al mondo, quello di due saloni fotocopia replicati a distanza di due mesi in due città distanti un’ora scarsa di treno, Milano e Torino, in un’Italia in fondo alla classifica dei lettori. È la sagra del bollito misto al congresso dei vegani. È una bella festa, non del libro ma al libro. Lo slogan «Un libro è per sempre» rimanda oramai un suono sinistro. Nella nostra vita quotidiana, tutto è progettato per avere un’ obsolescenza programmata, frigoriferi, lavatrici, telefoni, amori, famiglie, impieghi, partiti politici. Non fosse così l’economia moderna si bloccherebbe. Con un’unica eccezione, il libro di carta che si accumula nelle nostre case.
Nel passaggio delle generazioni nessuno vuole più ereditare i libri eterni dei nonni e dei genitori, non sapendo dove metterli. Ecco la soluzione di questa anomalia che blocca il mercato, possibile tema per i prossimi saloni: un concorso per inventare il libro a obsolescenza programmata, il libro che, trascorso un anno dalla pubblicazione, si dissolve in un mucchietto di polvere. Nell’attesa giochiamo con i libri eterni (per ora). Lo facciamo seguendo il suggerimento ai lettori di un supplemento letterario: invitate a pranzo il protagonista di un romanzo. Ho fatto una prima prova con il commissario Maigret. Ecco il risultato.
Sono ospite di un amico che ha avuto il coraggio di aprire un ristorante di cucina piemontese a Parigi, 11esimo arrondissement, boulevard Richard-Lenoir, di fronte al 130, dove, al quarto piano, si trova l’appartamento abitato dal commissario Maigret e dalla moglie, signora Louise, ottima cuoca. Lo sorprendo mentre, incuriosito dalla novità, legge il menù appeso in vetrina; mi presento come amico di Camilleri e riesco a invitarlo a pranzo. Quest’uomo massiccio, calmo e placido, a tavola è un riccio che vuol mangiare sempre le stesse cose o una volpe sempre in cerca di nuove esperienze? Decido che è una volpe che crede di essere un riccio, perciò mi affretto a spiegargli che il ristorante è in grado di proporre piatti che lui predilige, come la quiche lorraine, la terrina di cassoulet o il fricandeau à l’oseille. Però mi piacerebbe proporgli l’assaggio delle specialità del mio Piemonte. Lui accetta, iniziamo dalla carne all’albese, spiegandogli che non è «hachée», tritata, ma tagliata al coltello. Promossa. Altrettanto succede per gli agnolotti ai tre arrosti e per il bollito misto servito con il carrello. Il mio ospite non apprezza tutto ciò che è «sucreries», perciò niente dessert. Quanto al vino, poiché il commissario è abituato a quelli della Loira, gli propongo il nostro Rouché. Apprezzato. Anche a tavola, Maigret applica il suo metodo di indagine: senza idee preconcette si lascia «impregnare» dal contesto. È uno spettacolo assistere al lavoro delle sue mandibole.
Un ultimo tocco lo commuove, l’acquavite al lampone, come quella dei parenti alsaziani di sua moglie. È soddisfatto e senza che glielo chieda ammette: «Simenon si è sempre preoccupato di farmi mangiare bene e di questo gli sono grato. Mi ha persino insegnato a fare la bouillabaisse. Quanto a lui, scrivendo un romanzo in sei giorni si dimentica persino di mangiare. Non è affamato di cibo ma di donne...».
Insoddisfatto del risultato, ho tentato una prova d’appello, con Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Il principe Tancredi Falconeri accetta senza esitare il mio invito a pranzo quando gli dico che lo chef del ristorante palermitano dove andremo afferma che il suo timballo di maccheroni ricorda quello fatto servire dal principe di Salina, ad apertura del pranzo a Donnafugata, quando Tancredi vide per la prima volta Angelica e se ne innamorò. Seduti a tavola, parliamo dell’intenzione del giovane di candidarsi alle prossime elezioni e, conoscendo la sua indole, lo invito a riflettere sul fatto che quella del politico è una vita piena di impegni faticosi. Arriva il timballo e una volta rotto «l’oro brunito dell’involucro, esce un vapore carico di aromi». Tancredi se ne inebria e ne approfitto per lanciare la mia esca: «Ci sarebbe un modo semplice e onesto di guadagnare senza muovere un dito». Abbocca: «E sarebbe?». «Vincolare al diritto d’autore la frase famosa, quella che voi dite allo “zione”, quando gli annunciate la vostra intenzione di unirvi ai garibaldini “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. È una massima che nei prossimi anni sarà scritta e pronunciata decine di migliaia di volte, da tutti, opinionisti, commentatori, politici, professori. Lo faranno per dimostrare che loro sanno come vanno le cose del mondo e per poter continuare ad usarla saranno disposti a corrispondervi il compenso dovuto».
Tancredi parla a bocca piena: «Mi piace l’idea, cosa devo fare?». «Niente, solo firmarmi una delega, vi faccio da agente». Sapevo che avrebbe accettato, ho il foglio pronto. Mentre firma sparo la seconda proposta: don Ciccio Tumeo parlando di Angelica afferma «Le sue lenzuola devono avere il profumo di paradiso». Una ditta vorrebbe lanciare una linea di lenzuola di lusso con il marchio Angelica e con quello slogan. Sempre a bocca piena, Tancredi fa segno di sì con la testa.